mercoledì 1 febbraio 2012

Giornalismo (riassunto Giornalismo. Teoria e pratica)

Che Cosa è il Giornalismo? (cap.2)

Quella che può apparire una domanda scontata, in realtà non lo è. Di fronte ad un’informazione giornalistica dedita spesso alla necessità di fare spettacolo per assicurarsi l’audience, succede di tutto: basti pensare alla soubrette televisiva che si appropria di una professione non sua, o alla falsa credenza secondo cui basta usare i media per diventare giornalisti. Purtroppo lo sviluppo della società dell’informazione e della globalizzazione, sempre più orientata verso la spettacolarizzazione delle notizie, comporta una serie di effetti domino: ci si chieda per esempio dov’è finita la figura del giornalista consacrata alla cultura popolare e paladino della democrazia (watchdog), oramai un lontano ricordo. Un tempo questo mestiere si costruiva nelle redazioni, e solo adesso comncia a crearsi un rapporto fra università e mondo del lavoro. La formazione in ambito accademico significa anche la premessa per una liberazione della professione da ricatti che per lungo tempo hanno condizionato la categoria.

Ma definire il giornalismo non è cosa semplice, soprattutto perché non è ben chiara la demarcazione fra giornalismo e non-giornalismo: abbiamo già visto come oramai sia davvero difficile individuare un giornalista serio, di qualità e con dei sai principi, nel mare di giornalisti non-giornalisti che invadono quotidiani e tv. Tra le possibili definizioni di giornalismo, Brian McNair lo definisce come “ogni testo scritto, parlato o in immagini che abbia un autore e che aggiunga un’informazione di natura sconosciuta all’attuale mondo sociale”. Ci troviamo quindi di fronte ad una definizione che lega l’attività giornalistica alla verità, alla novità della notizia, ad un autore e ad un quadro sociale. È l’adesione ai fatti ed alla verità che caratterizza la stessa qualità del prodotto giornalistico (obiettività): una verità giornalistica non è però mai obiettiva in senso assoluto. Inoltre, altrettanto importante nella definizione del giornalismo, è il contesto: nessun racconto può essere valido se privo di un contesto e di un contorno, se non s’inquadra cioè in un sistema di affermazioni, credi e valori. Il vero giornalista è ideologico: mira al raggiungimento dell’audience muovendosi nel rispetto di precisi credi e valori. Inoltre il vero giornalista non dà per scontate le fonti da cui trae le informazioni, ma le controlla sempre, e si muove sempre sul piano dell’attualità, perché ciò che scrive deve interessare un pubblico che vive nel presente.

L’Enciclopedia americana fa derivare il termine “journalism” dal francese “journée” (giorno di lavoro), e quindi dal latino “diurnalis” (che ricorre ogni giorno): esso indica la raccolta e la pubblicazione delle notizie attuali e degli eventi, ma anche la gestione aziendale e grafica di un giornale. Ma la carta stampata non è tutta uguale: se il quotidiano punta ad informare piuttosto che ad interpretare, dovrà scavare più a fondo nelle notizie, servendosi anche delle immagini. Inoltre il quotidiano tende oggi ad essere sempre più specializzato ed a caratterizzarsi in sezioni (scienze, economia, letteratura, spettacolo, moda ecc).

Ma qual è il legame del giornalismo con i sistemi sociali e politici? Le Quattro Teorie della Stampa” ideate da Siebert, Peterson e Schramm sostengono che il successo del giornalismo è stata la conseguenza di un rapporto diretto tra sistemi informativi e sistemi socio-politici (marxista, libertario, dittatoriale, democratico): basti pensare al ruolo dei media sotto Mussolini. Gli studiosi sopracitati sostengono inoltre che per capire le differenze fra i vari sistemi di stampa, occorre osservare i sistemi sociali in cui essa opera, insieme ovviamente alle supposizioni, alle credenze che regolano il rapporto fra uomo e stato in quel preciso sistema sociale. Oggi tali modelli appaiono però superati, sia a causa dell’evoluzione dei media, sia degli stessi sistemi politici, senza ovviamente dimenticare la globalizzazione e l’interculturalismo (MacBride).


Nascita del Giornale e del Giornalismo in Italia e nel Mondo: Sviluppo Storico e Tecnologico (cap.3)

La professione giornalistica è certamente una delle più giovani, nonostante questo il primo prototipo di giornale può essere fatto risalire agli avvisi pubblici (Acta Diurna) pubblicati durante l’Impero Romano, e più tardi a Venezia col nome di “Gazzetta”. Esperienze simili si trovano anche in Cina con il “Tching-pao” (Notizie dal Palazzo) a Pechino, durante la seconda metà dell’ottavo secolo prima di Cristo. Fino alla scoperta della stampa, tuttavia, la diffusione di notizie fu ampiamente dipendente dalla corrispondenza privata e dalla comunicazione orale.

1) Da Gutenberg ai primi giornali

L’invenzione dei caratteri mobili del tedesco Johann Gutenberg (1400?-1468) a Magonza (1450 circa) rivoluziona la diffusione delle notizie. Il primo giornale compare a Norimberga nel 1457, mentre lo stesso Cristoforo Colombo, dove annunziava nel 1493 i risultati della sua prima spedizione nel nuovo mondo, viene distribuito massicciamente attraverso fogli stampati. Si trattava però di fogli stampati occasionalmente, e alcuni di essi, risalenti a prima del 1610, sono ancora conservati nei musei. Questo tipo di pubblicazione incominciò ad essere un affare e si diffuse rapidamente in Europa. Tra i più importanti fogli di notizie in questo periodo ci sono, in Germania, quelli della Banca di Fugger. In Inghilterra lo scrittore di notizie, specialmente sotto la regina Elisabetta (1558-1603), viene considerato un intrattenitore al servizio della noblità: un esempio fu Nathaniel Butter, editore del “The Weekly News” (morto nel 1664) che servì la nobiltà raccogliendo notizie dall’Italia e dalla Germania ed inviandole in patria. Al tempo della Restaurazione degli Stuart (1660) l’Inghilterra pullulava di gazzette, dispacci e rendiconti. Nel medesimo tempo, in Germania Egenolf Emmel fonda nel 1615 il settimanale “Frankfurter Journals”.

Nel diciassettesimo secolo l’influsso politico francese era notevole, ed agli inizi del diciottesimo il giornalismo era poco più che un commercio o un’appendice al servizio della politica più che una vera e propria professione (ovviamente non riconosciuta). I commenti alle notizie, soprattutto di carattere politico, cominciarono ad essere pubblicati in questo periodo: scrittori come Defoe, Swift, Addison, Johnson possono essere considerati i primi giornalisti. I loro commenti politici avrebbero potuto interessare anche i leaders dei giorni nostri.

2) Libertà di Stampa, Penny Press e Grandi Reporter

Associata alla nascita dei giornali è la battaglia per la libertà di stampa. Quando nel 1643 il Parlamento inglese approvò la censura per la stampa, John Milton (1608-1674) scrisse il famoso “Areopagitica”: una protesta attraverso la quale Milton dimostrò l’assurdità della censura alla stampa, difendendo la libertà di parola come un bene necessario per la felicità di tutti. Ma nel 1655 Oliver Cromwell annunciò che nessuno avrebbe stampato senza l’autorizzazione dello Stato: seguirono 30 anni di intolleranze e battaglie nei confronti dela stampa. nel 1712 fu imposto un controllo statale sui giornali (Stampduty): Defoe era da tempo stato isolato per aver scritto una satira contro l’intolleranza religiosa. Stessa sorte toccò a John Wilkes (1727-1797), infaticabile lottatore per la libertà giornalistica, espulso ed arrestato per lesa maestà. I problemi arrivavano anche dall’America coloniale: Benjamin Harris pubblicò il primo giornale americano nel 1690, soppresso dopo pochi giorni per aver riportato la verità, ovvero la crudeltà dell’esercito inglese. James Franklin, anche lui fresco fondatore di un giornale in America, fu imprigionato per aver criticato il governo coloniale. Se la cavarono meglio gli immigrati tedeschi in America: Peter Zenger riuscì a non farsi chiudere il giornale. Dopo l’organizzazione del governo federale, anche in America fu approvata la censura della stampa: la firmò John Adams con un apposito decreto (Alien and Sediction Acts, 1798).


Tuttavia, in Inghilterra, il diritto di riportare notizie fu sancito nel 1771. Anche la tassa sulla stampa venne gradualmente abolita, fino ad essere ridotta ad un solo penny nel 1836: la diffusione del giornale in Inghilterra si quadruplicò e nacque la “penny press”, che si diffuse poi anche in America e altrove. La penny press fu la risposta alla grande domanda delle masse. Tra gli altri fattori che furono alla base della diffusione dei giornali possiamo annoverare: la riduzione del costo della carta, la linotype, il miglioramento delle macchine grafiche e la riduzione dei costi per l’acquisizione di notizie. Ma tale allargamento fu anche la conseguenza di un cambiamento che coinvolse la natura del giornalismo stesso: la separazione dall’opinione partitica nel primo quarto del diciannovesimo secolo (‘800). Fino a quel momento la stampa, infatti, veniva considerata come un allargamento della politica ed i giornalisti come sostenitori delle opinioni governative: l’unione fra giornale e politica si ruppe quando gli imprenditori capirono di poter essere autonomi senza diventare schiavi delle piattaforme politiche.

Un altro aspetto che caratterizzò il giornalismo del diciannovesimo secolo fu la nascita di una serie di grandi editorialisti capaci di interpretare l’opinione pubblica, in grado di sorpassare in carisma e leadership persino gli stessi politici (Delane, Lawson, Sterling in Inghilterra; Bennett, Dana in USA; Paradol in Francia): grandi direttori che portarono il giornalismo ad un nuovo livello di dignità ed indipendenza. La professione cominciò allora ad interessare anche la finanza: il giornalismo era diventato un affare. Alcune aziende investirono ed acquistarono una serie di giornali accorpandoli in pochi grossi gruppi: si sviluppò la diffusione di pochi giornali, ma molto potenti ed in grado di coprire più territorio. Nacquero le agenzie per la diffusione nel mondo di notizie: la prima fu la “Associated Press” (1848), in grado di servire circa 7000 giornali, radio e stazioni televisive.

Nel nuovo giornalismo vi erano sostanzialmente due tendenze: da un lato spopolavano i giornali di elevata qualità come il “The Times” a Londra, il “New York Times”, “La Prensa” di Buenos Aires; dall’altro si diffondevano rapidamente i giornali sensazionalistici (yellow press) ed i tabloid. Questo tipo di giornalismo veniva gestito con poco senso di responsabilità e nessuna verifica: se una notizia faceva scandalo, poco importava fosse vera. Oltre che sugli scandali, si concentrava su fotografie drammatiche che spesso ritraevano vittime di un omicidio: una tattica molto discutibile per vendere. Ma, a dispetto dei bassi standard di molti giornalisti e testate, continuò la lotta per mantenere la dignità e l’indipendenza del giornalismo. La ricerca dello spettacolare e del notiziabile portò spesso in questi anni a vere e proprie imprese eroiche di giornalisti: come quando, nel 1872, il reporter Henry Stanley fu incaricato dal direttore del New York Herald (Bennett Jr.) di ritrovare l’esploratore David Livingstone, disperso nel cuore dell’Africa!

3) Novecento: Radio, TV e formazione professionale

Fu la stazione radio KDKA di Pittsburg nel 1920 ad inaugurare la regolare trasmissione di programmi radiofonici. La radio poteva inviare i suoi servizi mentre l’evento era ancora in corso e questo dava all’ascoltatore la sensazione di far parte di quell’evento, di fare la storia: lo sbarco in Normandia del 1944 fu un sensazionale esempio di questa copertura giornalistica. Anche la TV trasmette dal vivo: vi furono numerose discussioni sull’informazione televisiva dal momento che, essendo molto teatrale, aveva una grande presa sul pubblico. Non a caso media come la TV e la Radio, insieme al giornale, risentono dell’influenza dei sistemi politici, soprattutto le dittature che ne hanno fatto strumenti al servizio dello stato. Sin dal Novecento si è dibattuto sul metodo per formare i giornalisti professionisti: in USA la formazione accademica da questo punto di vista è molto sviluppata, non a caso lì è considerata una professione etica e dignitosa, tanto da reputare responsabili gli editori di ciò che pubblicano (molti sono finiti in carcere per calunnie). Il percorso del giornalismo italiano è però molto diverso.


4) Alle Origini del Giornalismo Italiano: Avvisi e Gazzette

Il termine “giornale” (da cui deriva quello di giornalismo) fu inizialmente legato al concetto di stampa periodica (settimanale, quindicinale, mensile ecc) e poi di stampa quotidiana. Attualmente, esso è usato per indicare tutte le riviste presenti nelle edicole, nonostante siano spesso molto diverse fra loro. Il termine “giornale” è tardo: lo troviamo per la prima volta nel “Giornale di Messina” del 1675 (semplice notiziario) e nel “Giornale de’ Letterati” del 1668, contenente argomenti letterari e scientifici. È per questo motivo che fino ai primi decenni del ‘600 si parlerà non di giornale, ma di avvisi e gazzette. Gli avvisi, dopo essere stati notiziari periodici, si specializzarono come notifiche di procedure giuridico-economico-commerciali-pubblicitarie; le gazzette invece, comunicati di due o quattro pagine ad una o due colonne, risultarono subito l’equivalente di ciò che per noi oggi è il giornale. Tra le gazzette più importanti dell’epoca troviamo il Mercure Francais del 1611 e il Bureau d’adresses del 1631, entrambe francesi.

5) La Diffusione dei Giornali in Italia nel ‘500 e nel ‘600

Le città italiane che per prime furono invase da avvisi e gazzette furono Roma e Venezia: Venezia era il centro di importanti traffici con il Mediterraneo, mentre Roma era la sede del papato. In entrambe le città l’arte tipografica era fiorente e non pochi tipografi si erano dedicati a comporre e vendere avvisi e gazzette, che davano un discreto reddito. Non tardarono a seguire Firenze, Genova e Milano. Alla fine del ‘500 gli avvisi e le gazzette superarono le 8 pagine di testo e disponevano di notizie provenienti da tutto il mondo, ed a loro volta potevano inviarne in ogni parte del pianeta. Tra il ‘500 ed il ‘600 gli avvisi divennero soprattutto espressione delle paure e delle credenze magico-religiose dell’epoca, mentre le gazzette assunsero l’aspetto di autentici giornali settimanali, e per questo furono ben presto sottoposte al controllo dei governi.

6) Appunti Cronologici sulla Censura

I governi cominciarono ad esercitare rigidi controlli sulla carta stampata. Soprattutto la Chiesa si trovò impegnata a lottare contro la carta su tre fronti: teologico, morale e politico. Era già da secoli che essa proibiva la lettura delle opere considerate eretiche, ma fu dopo l’invenzione della stampa che scatenò una censura molto serrata: intorno al 1480 la libera circolazione dei libri fu limitata solo a quelli che avevano ricevuto l’imprimatur, mentre nel 1557 Paolo VI ordinò che venisse stilata una lista dei libri proibiti (Indice). La fine della censura cominciò nel 1666: nel 1695 fu abolita in Inghilterra, nel 1789 in Francia, nel 1791 in America. Tuttavia più la stampa, soprattutto quella periodica, prendeva piede, più i governi facevano di tutto per controllarla o imbavagliarla.

7) La Repubblica dei Letterati: ‘600 e ‘700

Nel Seicento i giornali si differenziarono dalle gazzette in quanto seguivano una strada più raffinata, trattando anche temi come le scoperte scientifiche, la letteratura, spingendo su una dimensione di pluralismo culturale. Un esempio classico è il già accennato Giornale de’ Letterati, stampato per la prima volta a Roma nel 1668: il giornalismo faceva un grande salto di qualità rispetto alle gazzete, incentrate più sulla curiosità e su notizie spesso false. Per contro, il giornale de’ letterati proponeva un’informazione ragionata ma anche dibattito.


8) Altri Periodici del secondo Settecento: lo Spectator ed Il Caffè

Ai primi del Settecento due giornali inglesi, “Spectator” e “The Tatler” (la frusta) rappesentarono qualcosa di significativo per tutto il giornalismo europeo, compreso quello italiano, perché seppero offrire ad una società borghese in rapida evoluzione sia lezioni di filosofia pratica (politica ed economica) sia la possibilità di osservare e conoscere ciò che accadeva nella vita quotidiana e quali fossero i personaggi tipici di quest’epoca. A metà del ‘700 i lettori coincidevano praticamente coi letterati: si sviluppò così il bisogno di allargare il mercato dei periodici verso un pubblico più vasto, che comprendesse soprattutto i ceti urbani (commercianti, artigiani e piccolo professionisti). Il vecchio rapporto cultura-libro non sparisce, ma viene affiancato da quello cultura-giornale, più immediato e leggibile anche non da intellettuali. Il giornale diventa quindi il custode dell’attualità, delle curiosità, degli eventi quotidiani, delle cronache, dello spettacolo, della moda ecc. Un grande esempio giornalistico è Il Caffè, edito a Brescia dal 1764 al 1766: esso capì, con una grande intuizione che andò ad anticipare la psicologia delle folle, che spesso si legge non per bisogno di acculturarsi ma perché semplicemente va di moda, così pubblicò diverse cose scritte in modo non noioso. Nella seconda metà del ‘700 i giornali estesero i loro orizzonti grazie alle innovazioni tecniche e alle prime rudimentali ricerche di marketing, dirette ad attirare l’interesse dei lettori verso le notizie trattate.

9) Fine ‘700: Giornalismo e Repubbliche Rivoluzionarie

Nel 1789 scoppiava la Rivoluzione Francese, ed i suoi echi si sentirono in tutta Europa, grazie ai giornali che se ne fecero diffusori. L’avvento in Italia dell’Impero napoleonico diede alla stampa una forte scossa: Napoleone fu generoso coi giornalisti, a patto che fossero completamente d’accordo con la sua politica e la risaltassero. Per scongiurare pericoli, permise comunque la pubblicazione di un solo giornale per dipartimento, ovviamente gregario delle sue idee, ad eccezione di Milano; fu invece più liberale nei confronti dei giornali letterari e scientifici, a patto che rimanessero tali. Merita particolare attenzione la “Gazzetta Romana”, creata su iniziativa del comandante delle truppe napoleoniche Miollis nel 1808, distribuita ben 4 volte la settimana: essa aveva soprattutto lo scopo di creare un’opinione pubblica favorevole alla Francia. Dalla Rivoluzione francese alla caduta di Napoleone, il giornalismo fece dunque un grosso passo in avanti sia in quantità che in qualità: il giornale si dotò di una vera e propria redazione con cronisti esperti e con grafici all’altezza (qualità), ed il perfezionamento dei mezzi tecnici di composizione e una maggiore efficienza della distribuzione favorirono la vendita su larga parte del territorio nazionale (quantità). La Restaurazione chiuse il periodo storico, durato oltre 20 anni, che collocò in prima fila il giornalismo patriottico e politico, che non seppe ne potè resistere alle pressioni del regime napoleonico, che lo fece strumento della propria propaganda.

10) Verso l’Unità

La restaurazione voluta dal congresso di vienna (1815) a Milano trova numerose testate: notevoli appaiono “Lo Spettatore”, che non si occupa di politica ma di letteratura (vi scrivono Leopardi e Foscolo); “La Gazzetta di Milano”, fondata nel 1816 per volere del governo austriaco, che diventa il foglio ufficioso del regime austriaco; infine la “Biblioteca Italiana” fondata da Vincenzo Monti nel 1816, esempio di giornalismo asservito al potere. Troviamo poi “La Gazzetta Piemontese” nel regno di Sardegna, “Il Saggiatore” ed “Il Raccoglitore” nel granducato di Toscana, “Il diario di Roma” e “Giornale enciclopedico” nello Stato Pontificio.


11) Tra le due Rivoluzioni: dagli anni ’20 agli anni ’30, i Moti del 1820-21

Anche qui come in Spagna, il re fu costretto a concedere la costituzione spagnola, nel 1820. tale documento prevedeva anche la libertà di stampa, che però fu presto limitata da altri provvedimenti del governo asburgico. Ma nel frattempo aumenta la proliferazione di fogli rivoluzionari: “Il giornale costituzionale delle due sicilie” (Napoli), “La luce” e “La voce del secolo”, giornale politico-letterario d’ispirazione carbonara che incitò alla guerra contro l’Austria. Nel 1820 insorse anche Palermo, ed anche qui la libertà di stampa permise di praticare giornalismo politico: “La Fenice” e “Il giornale patriottico di Sicilia”, schierato per l’introduzione della costituzione spagnola e sostenitore dell’autonomia siciliana rispetto a Napoli. Le forze rivoluzionarie vengono sconfitte nel marzo del 1821 a Rieti e viene reinsediato a Napoli Ferdinando I. nel luglio del 1830 Parigi insorse e pochi giorni dopo l’Italia a imitò con la rivolta carbonara di Ciro Menotti, e ben presto a Modena, Parma e Bologna si costituirono governi provvisori: a Parma nasce “L’Eclettico”, che fa opera di propaganda ed impegno patriottico, invitando i congiurati a puntare su un rinnovamento locale come inizio di una futura unità nazionale. I moti italiani furono ben presto repressi dal governo austriaco che restaurò il suo potere e condannò a morte Menotti ed altri rivoltosi.

12) Dagli anni ’30 ai ‘40

La stampa periodica indipendente portò avanti la propaganda liberale trattando però gli argomenti in modo molto allusivo: si parlava di civiltà e progresso in nome della libertà rievocando autori come Dante, Alfieri e Foscolo. A Milano si afferma nel settore letterario e scientifico “Il Politecnico”, insieme ad altre riviste che trattavano puro divertimento. Un buon livello culturale e civile fu raggiunto a Palermo da nuovi giornali come “La Falce”. I periodici popolari ebbero in questo periodo un ruolo educativo e politico: i moderati, riformatori e patriottici puntavano sull’educazione delle classi lavoratrici, perché erano convinti che un innalzamento del livello culturale avrebbe favorito il miglioramento della produzione agricola e industriale.

Il settore rivoluzionario del giornalismo popolare degli anni ’30 e ’40 è coperto dai giornali mazziniani e dai giornali dell’emigrazione. A Marsiglia, nel 1831, Mazzini fondò la “Giovane Italia”, un’associazione operante a livello nazionale con fini unitari, repubblicani e democratici. Lo stesso nome ebbe il foglio stampato con gli ideali dell’idea rivoluzionaria di Mazzini. L’isola di Malta intanto ebbe concessa la libertà di stampa negli anni ’30, diventando nuovamente il centro dei giornalisti esuli italiani: “Il Maltese” ed “Il Mediterraneo”.

I giornali intorno al ’48-’49 vissero un forte cambiamento dipendente dallo sviluppo della situazione politica: era cominciata l’era del cambiamento dei governanti, che cercavano la libertà del Regno o del loro paese. Da una parte il giornalismo cominciava a prendere sul serio il suo ruolo di dire la verità sullo sviluppo della nazione, e dall’altro i nuovi governi cercavano ovviamente di manipolarlo a loro favore: la vita politica era più lontana dalla democrazia. La rivoluzione del giornalismo si poneva due obiettivi: rendersi indipendente dal controllo del governo, e offrire al popolo un tipo di educazione per vivere nella democrazia: in questo senso il giornale diventava luogo di battaglia fra giornalisti e potere, e quando fu abolito il dominio austriaco, il giornale si aprì alle dimensioni della cultura, del divertimento e dell’educazione. Restava però sempre una finalità politica intesa a preparare la gente alle difficoltà della vita: il giornale era quindi lo strumento per cambiare la mentalità dei cittadini per lo sviluppo del paese.

Nel 1851 si apre una nuova era di liberalizzazione. I giornali sono più liberi ma si crea confusione: il giornale romano parla di subordinazione dei poteri al Papa, mentre la maggioranza degli altri parla della libertà politica e dello sviluppo economico, culturale ed educativo.


13) Il Giornalismo dal 1860 al 1960

I primi decenni post-unitari vedono una stampa che è ancora ad un livello dilettantistico, infantile, indisciplinata ma fatta di sentimenti e di passione (Barbéra): ma il giornalismo era una realtà in rapida evoluzione, anche se erano pochi i giornali che passavano i confini della loro provincia. In quel periodo circolavano diversi formati e varie impostazioni, anche all’interno della medesima testata: alcuni giornali (come “L’Osservatore romano”) puntavano su un formato piccolo ed una pagina a 2-3-4-5 colonne, mentre altri (come il “Corriere della Sera”) utilizzavano il formato grande e la pagina a 5-6 colonne. Non si poteva ancora parlare di redazione visto che erano solo 2 o 3 giornalisti a collaborare col direttore, lavorando su notizie recuperate da altri giornali o dall’Agenzia Stefani. Fu grazie a Torelli Viollier che nacquero le figure di redattore e caporedattore.

“Il Secolo”

Il giornalismo di cui s’è trattato, come detto, era spesso il risultato di un lavoro d’apprendistato, artigianale ed avventuroso. Il passaggio ad una visione imprenditoriale, con un’organizzazione commerciale ed un’amministrazione aziendale, avvenne a Milano nel 1918, con la casa editrice Sonzogno: dei suoi tre quotidiani, fu proprio “Il Secolo” (1866) a tracciare il profilo del giornale moderno, mettendo subito in atto alcune strategie per ottenere consenso, pubblicando romanzi in allegato, regalando premi, potenziando la cronaca cittadina con tanti reporter, inserendo la pubblicità e introducendo in prima pagina l’illustrazione (1869) e la titolazione su 5 colonne.

Alcune realtà particolari: Giornali Cattolici ed Economici

Il giornalismo economico era diviso tra cattolici liberali (Il Carroccio, Lo Spettatore) e cattolici intransigenti (L’Osservatore Cattolico). L’area economica ebbe invece come protagonista “Il Sole”, sempre attento all’Europa e ai suoi mercati.

14) Tre Diverse Modalità di Fondazione di un Giornale

  • “Fanfulla” – Nato nel 1870 durante un incontro al teatro delle logge di Firenze fra De Renzis, Cesana e Piacentini. Uscito prima a Firenze e poi a Roma, era un quotidiano improntato a equilibrio politico, idee moderate e con tendenze francofile nella guerra franco-prussiana: ebbe un grandissimo successo.

  • “Capitan Fracassa” – Uscito a Roma dal 1880 al 1890, fu addirittura ideato in una birreria, la Morteo, luogo di incontro di giornalisti romani. Gli ideatori furono Giovagnoli, Vassallo, Napoli e Turco. Il giornale si caratterizzò per l’eleganza, il brio e lo spirito.

  • “La Tribuna” – Il quotidiano nacque in funzione oppositiva al governo Depretis, critico nei confronti del trasformismo. Fra i protagonisti vi fu Crispi.


15) Il “Corriere della Sera” ed il Buon Giornalismo

Nato il 5 marzo 1876, apparve al principio come un timido tentativo precario: fu lo stesso Torelli Viollier, suo fondatore, a parlare in questi termini. A partire dal 1885, con la decisione di diffondere le sue copie anche al di fuori della regione, il Corriere della Sera fu in ascesa, anche per merito dei finanziamenti dell’industriale Crespi. Dal 1887 il Corriere cominciò anche a mantenere un inviato in Africa, oltre ad aprire uffici di corrispondenza a Parigi, Londra e Berlino. Torelli decise poi di inserire anche la pubblicità. Secondo lo stesso Torelli, il successo del Corriere stava in un decalogo di ideali che il buon giornalista doveva seguire: ricordarsi che il giornalista è servitore del pubblico, testimone di tutte le notizie del giorno, ed ha il compito di informare, istruire e divertire il pubblico, e non deve mai trasformare la sua professione in un mezzo per inseguire i propri interessi. Una sorta di prontuario del buon giornalista.

16) Censura, Politica e Nuovi Stili

A partire dal 1870, le forze politiche ed economiche cominciarono a guardare i giornali come potenti veicoli per il sostegno dei propri interessi: si cercò di controllarla vietandole di offendere il Re e la religione. Già nei primi anni ’70 Lorenzini (Collodi) denunciò i rapporti fra stampa e politica: non era possibile che molte testate nascessero e morissero legate a questo o quel partito, lasciando molti giornalisti e stampatori in mezzo ad una strada. In modo non meno critico Paolo Valera, nel 1901, denunciava gli stipendi incredibilmente bassi dei giornalisti, e la cosa peggiorò quando si venne a sapere che esistevano giornali sovvenzionati direttamente dallo Stato, solo perché più importanti: pratica scandalosa a cui mise fine la sinistra di Depretis nel 1876. nonostante questo il settore bancario non cessò di rifornire giornali e giornalisti famosi, definiti da Valera “scalzacani della penna”.

Nei primi anni ’80 venne adottato un modello di giornalismo americano, importato in Italia da Dario Papa, che si rifaceva al modo di scrivere proposto da Bennett nel “New York Herald”: taglio spigliato, impaginazione viva e mossa, comunicazione semplice ed immediata. Il giornale “Italia” di Papa si rivelò però un fiasco, e lo stesso Papa fu accusato di essere un “bottegaio”, buono solo per le americanate e le spettacolari esagerazioni, tipiche di un giornalismo, quello americano, degenerante.

“Il Messaggero”

Un tentativo di maggior successo fu quello del “Messaggero” che, puntando sulla cronaca, su notizie eclatanti e su un pubblico popolare, sollecitò lo stesso pubblico a diventare “giornalista sul campo”, ovvero a comunicare velocemente alla redazione fatti ed eventi della giornata.

Le Notizie: L’Agenzia Stefani ed i Reporter

Lo stile del giornalismo era “forbice e colla”: le notizie venivano prese dall’unica agenzia di stampa italiana, la Stefani, fondata nel 1853 da Guglielmo Stefani, per volere di Cavour. Specie agli inizi, il suo carattere artigianale causava l’arrivo delle notizie con molto ritardo, il che non aiutava i giornalisti. L’unico modo per rilevare velocemente i fatti di cronaca era quindi sguinzagliare i giornalisti sul campo, come dopo l’inondazione del Po nel 1879, quando Romussi percorse in barca tutti i luoghi colpiti, intervistando i protagonisti. Oppure Giarelli, con cui nacque la figura del vero e proprio reporter. Nel 1869 vi fu il primo esempio di reportage dall’estero: un giornalista della “Gazzetta del Popolo” di Torino fu inviato in Egitto in occasione dell’inaugurazione del Canale di Suez, per non parlare della guerra d’Africa, che vide nel 1887 una flotta di articolisti viaggianti consacrare questa nuova categoria, per poi arricchirla con la guerra in Libia e la prima guerra mondiale, che li vide trasformarsi in veri e propri reporters di guerra.


17) Vendita, Pubblicità, Linguaggio e Formazione

Nel 1861 i quotidiani uscivano solo 2 o 3 volte al giorno, difficilmente ad un’ora ben definita. Le edicole erano la categoria più ricca, a cui si aggiungevano i posteggianti e gli ambulanti, che vociavano la loro merce.

La pubblicità, com’è ovvio, nacque a causa dei costi, che necessitavano un’adeguata copertura. L’urgenza di piazzare la pubblicità rese necessario anche molto spazio, ed alla fine essa arrivò ad occupare un’intera pagina: la quarta pagina. Inizialmente le pubblicità mancavano di organizzazione ed erano piazzate alla bell’e meglio. Il primo vero organizzatore fu Attilio Manzoni, mentre Matilde Serao e Scarfoglio inventarono gli annunci amorosi nel 1907.

Il giornalismo dovette fare i conti con l’alto tasso di analfabetismo della popolazione pari al 75% nel 1861, al 65% nel 1871 e al 40% nel 1911. Per questo i direttori dei giornali esigevano dai giornalisti una scrittura chiara, pura e privo di fronzoli. Ma all’inizio del secolo anche il giornalismo potè sfruttare un linguaggio più articolato, grazie ad una alfabetizzazione più forte.

Un problema emerso fin dall’800 riguardava la formazione professionale dei giornalisti. Al contario dell’America, dove già nascevano scuole di giornalismo, in Italia si continuava verso un apprendimento artigianale. Ma come si faceva ad insegnare lo stile da adoperare in un giornale? Ciò era possibile secondo un lavoro sul campo, che formava di volta in volta, attraverso le difficoltà del mestiere, il proprio stile di giornalista: più avanti Albertini sviluppò il tirocinio, attraverso il quale i giornalisti potevano perfezionarsi. Fra i generi che ebbero maggior successo va ricordata l’intervista, nata in America nel 1831 con Anne Royall e perfezionatasi nella sua forma moderna fra il 1859 ed il 1869.

18) Da un Secolo all’altro

Tra la fine e l’inizio del secolo ci si trovò in un momento di transizione dal giornalismo di tipo individuale, costruito sui direttori-fondatori, ad un giornalismo collaborativo, che dava l’idea di un’azienda su basi finanziarie più sicure: fu questo che diede al giornalismo la caratteristica non solo informativa, ma anche educativa e di guida.

Nel 1895 il presidente del consiglio Francesco Crispi, irriso per il suo autoritarismo (“Ave imperator!”) da “La Stampa”, scatenò una campagna di boicottaggio e screditamento nei confronti di quel giornale. Il suo direttore, Alfredo Frassati, che dal 1899 ne divenne anche l’editore, fece di tutto per apportarvi degli ammodernamenti, dotandosi di una redazione giovane ed agguerrita, che non aveva eguali in Italia. Fu uno dei casi più clamorosi che videro, a cavallo dei due secoli, uno scontro fra potere politico e potere economico che coinvolsero soprattutto i giornali più autorevoli, la cui direzione carismatica era in grado di trattare con le controparti e addirittura di scavalcarle. Anche il giovane Albertini ammodernò il “Corriere della Sera”, applicando le lezioni del giornalismo inglese, che non rinnovarono solo il giornale ma anche il modo di fare giornalismo. Fu la politica il suo campo d’azione privilegiato, anche se il giornale alla fine risultava neutro. Corriere e Stampa erano perennemente in conflitto politico, in quanto legati rispettivamente a Sonnino (Albertini – Corriere) e a Giolitti (Frassati – Stampa).

Ma fu “Il Giornale d’Italia”, nato a Roma nel 1901 ad opera di Sonnino e Salandra, a rappresentare una grande novità con le sue arie da giornale inglese, in campo politico ma anche dai tratti vivaci. In particolare fu il primo quotidiano moderno, che si aprì anche ai problemi del Sud. Fu proprio il suo successo che spinse gli avversari di Sonnino e Salandra (Giolitti) a rilanciare “La Tribuna”, con lo scopo di controllare l’opinione pubblica del centro-sud e diretta magistralmente da Malagodi.


Anche “L’Avanti”, nato nel 1896 con la direzione di Bissolati, avvertì la necessità di rilanciarsi e di rifondarsi, cosa che ebbe luogo col trasferimento a Milano nel 1911, prendendo il posto del “Tempo”, il giornale della democrazia italiana fondato da Treves. La sua fu un’ascesa che venne bruscamente interrotta nel 1914 dal direttore Mussolini, che pubblicò un articolo a favore di una neutralità “operante” e non più passiva, e che pochi mesi dopo abbandonò il giornale per fondarne uno suo: “Il Popolo d’Italia”. Il giornale diventava sempre di più un forte strumento di possibile pressione sui poteri pubblici.

Macchinari Tipografici, Telefono e Strutture

Le migliorie tecniche provocarono dei profondi mutamenti nel modo di fare giornalismo. In particolare nel 1972Il Sole-24 Ore” sperimentava la trasmissione delle pagine con la tecnologia broadcast, via satellite, in modo da raggiungere un’utenza estera sempre più vasta: si trattava di un processo che sfruttava i personal computer, in grado di trasmettere e ricevere dati tramite un segnale televisivo satellitare, terrestre e via cavo. Al livello di tipografia, invece, già dal 1930 le monotype (Lanston) e linotype (Mergenthaler) spopolavano in Italia, per poi passare all’offset.

Le prime linee telefoniche in Italia furono attivate nel 1902, prima fra le principali città italiane e poco dopo anche con Parigi. Questo ovviamente significava, per il giornalismo, costi minori di trasmissione rispetto al telegrafo e soprattutto un notevole abbreviamento del tempo nella comunicazione degli articoli. Questo significò per il giornale una riduzione dei costi, che si tradusse nell’ampliamento del numero delle pagine (ferme ancora a 4 circa agli inizi del ‘900) e nella creazione di pagine dedicate a temi specifici.

Prima, Seconda, Terza Pagina

Per quanto riguardava la presentazione e la specificazione tematica, la prima pagina era dedicata alla politica ed agli articoli riguardanti i fatti del giorno; nella seconda pagina si trattavano temi riguardanti letteratura e storia; la terza pagina invece era dedicata alla cultura in genere e all’attualità letteraria in particolare. La terza pagina nacque nel 1901 quando, in occasione della prima assoluta della dannunziana “Francesca da Rimini” (al Costanzi di Roma, con la compagnia della Duse), Bergamini (fondatore e direttore del “Giornale d’Italia”) incaricò 4 redattori di raccontare la fastosa serata sotto diversi aspetti (critico, scenografico, musicale e mondano). Inoltre nella terza pagina non era raro imbattersi in una rubrica chiamata “Bibliografia”, dedicata ad alcune segnalazioni (non tanto recensioni) di libri e opere teatrali. Ovviamente la cultura non si esauriva nella terza pagina, ma era lì che risiedeva maggiormente.

19) Dal Primo al Secondo Conflitto Mondiale

Le guerre costituivano un vero affare per i giornali, nonostante impoverissero le redazioni per via della leva obbligatoria e comportassero un aumento dei costi. Ma guerra e giornali costituivano un buon binomio che si presentò per la prima volta in occasione della Guerra d’Africa (XIX secolo), che fece la fortuna del “Corriere della Sera”. Ma fu la prima guerra mondiale a consacrare questo binomio, in particolare dopo la sconfitta di Caporetto (1917) nacquero nuove testate che si dichiararono favorevoli alla guerra e che sollecitavano l’unità dello spirito nazionale: tali testate ebbero il merito di fornire al popolo maggiori notizie ed informazioni in merito al conflitto. Il tutto senza dimenticare i due quotidiani pro-Mussolini, “Il Popolo d’Italia” e “L’Avanti”, e gli interessantissimi giornali dal fronte, come “Il Soldato” (1918).

In tutti i giornali la guerra veniva vista come uno spettacolo in cui esaltare il coraggio dei soldati, gli atti di eroismo dei compatrioti e la barbarie degli eserciti nemici. Non aveva importanza che la realtà fosse diversa, come dimostravano carteggi privati fra inviati e direttori. Oltre alla censura del governo, la stampa quindi si autocensurava. Non a caso Luciana Fossati dichiarava che i corrispondenti dal fronte si distinguevano più per la maggiore o minore scrupolosità che per una differente visione del conflitto, quasi totalmente assente. La censura conobbe i suoi picchi massimi in occasione delle rivoluzioni in Russia, per poi essere abolita nel giugno del 1919, con l’eccezione dei territori in cui vigeva ancora lo stato di guerra.

Ma nel dopoguerra la stampa si presentava tutto fuorchè rinnovata, visto che sullo sfondo erano presenti i riferimenti politici che ruotavano attorno alla figura di Giolitti. Fu la nuova realtà politica dei partiti a mutare il giornalismo: dal punto di vista dei contenuti, si cercò un equilibrio tra informazione ed educazione, preferendo privilegiare la cultura alla cronaca. Ma dal 1919-1922 molti industriali provarono a mettere “le mani sulla stampa”, per aver maggior peso sulle scelte economiche: questa pratica avveniva tramite i finanziamenti, necessari a molti giornali per sanare il passivo. A tutto ciò si aggiungevano i movimenti interni di avvicinamento a questo o quell’industriale.

Il Regime Fascista

Le linee di condotta del regime fascista si possono riassumere in quattro punti: assunzione diretta del controllo dei giornali (fascisti e non) tramite l’acquisto, pressioni sui quotidiani nazionali più importanti, persecuzione dei fogli d’opposizione, controllo dei giornali fascisti troppo indipendenti. Per far ciò il regime utilizzò due tipi d’intervento: uno inglobativo, che mirava all’organizzazione di una rete di testate nazionali, il cui scopo era creare consenso; l’altro repressivo, che consentiva ai questori di sequestrare un giornale senza bisogno di ulteriori autorizzazioni. Una delle prime operazioni fasciste fu la rimozione di alcuni direttori antifascisti attraverso l’acquisto di quote del giornale, o potenziando la presenza fascista all’interno delle redazioni, o addirittura convincendo/minacciando le proprietà a disfarsi dei direttori scomodi. Il regime inoltre intervenì direttamente sulla categoria dei giornalisti: nel 1924 diede vita al Sindacato Nazionale dei Giornalisti, creando l’albo professionale ove v’erano ammessi solo giornalisti fedeli al regime, che si contrapponeva alla Federazione Nazionale della Stampa, dichiaratamente antifascista.

Ovviamente non mancarono indicazioni sulla tipologia di notizie e sull’impostazione linguistica nei quotidiani. Fu abolita la cronaca nera, in modo da cancellare qualsiasi notizia che potesse creare allarmismi e da far diventare il giornale lo specchio delle energie positive italiane. Occorreva poi creare una nuova generazione di giornalisti interni al partito fascista ed in grado di educare il popolo secondo i canoni e gli ideali che voleva il regime. La stampa fu totalmente assoggettata al regime tanto che, alla fine del primo decennio di fascistizzazione, divenne una sorta di specchio del fascismo. Solo la stampa cattolica non fu mai veramente assogettata: pur non opponendosi, godeva di maggiori libertà e per questo in grado di fornire notizie più complete (“L’Osservatorio Romano”). Il periodo fu infatti caratterizzato da una forte monotonia sul piano dei contenuti e delle notizie, visto che i fogli antifascisti riuscivano a circolare solo illegalmente: per coprire questa monotonia, si cercò di rendere il quotidiano più accattivante da un punto di vista grafico, ed era su quel versante che i quotidiani si davano battaglia, non potendolo fare sul parco delle notizie. In particolare fu in quel periodo che si focalizzò l’attenzione all’orizzontalità della pagina e all’ampliamento delle rubriche sportive: ad esempio il “Corriere della Sera” curò maggiormente la Terza Pagina, ricorrendo a grandi firme, oppure “La Stampa” curò maggiormente l’impianto fotografico. Fu in questo clima che nacquero i periodici destinati ad un pubblico femminile e incentrati su poesie, racconti, rubriche: “Grazia”, “Annabella”, “Eva”: venne incrementato il genere del foto-romanzo.

Uno dei momenti più importanti della storia del giornalismo italiano è costituito dalla nascita del primo settimanale stampato a rotocalco, considerato tra l’altro il modello del settimanale odierno: “Omnibus” (1937). Altri settimanali molto importanti furono “Tempo” (Alberto Mondadori e Montanelli), “L’Espresso” (polemico e aggressivo), “Panorama” (dallo stile sobrio ed impersonale) e “Famiglia Cristiana” (che affiancò temi religiosi a temi di carattere generale).


La Fine del Fascismo

La destituzione di Mussolini diede vita ad un clima di attesa e ad un cambiamento di direzione di testate: al Sud Badoglio vietò la rinascita dei vecchi giornali antifascisti; al Nord, invece, la presenza della Repubblica di Salò costrinse i giornalisti a non fuggire, ma nemmeno a schierarsi apertamente. Inoltre l’occupazione tedesca dell’area settentrionale del paese causò la chiusura forzata di numerose testate, ad eccezione della “Gazzetta dello Sport” e della “Settimana Enigmistica”. Certo, circolavano molti fogli clandestini delle diverse formazioni partigiane, ma furono molto precari. Sorsero anche i giornali clandestini dei partiti, come “L’Unità” nel 1942.

Quando il fascismo cadde definitivamente, occorreva restituire credibilità al giornalismo e risolvere due questioni: il nuovo rapporto col pubblico ed il dibattito fra giornalismo d’informazione e giornalismo di partito. Inizialmente fu quello di partito ad avere la meglio, ma per poco: tornarono infatti in scena quotidiani del calibro del “Corriere”, della “Stampa” e del “Messaggero” per merito del PWB, l’organismo creato dagli Alleati per la stampa. Nell’immediato dopoguerra ed all’inizio della ricostruzione nascono nuovi quotidiani molto interessanti: “La Sicilia” a Catania, per esempio. Il problema del rapporto col pubblico presentava invece i soliti limiti dell’analfabetismo dilagante, nonostante fosse sensibilmente sceso rispetto al passato. La grande novità fu pertanto il concentrarsi su uno stile ed un’impaginazione visiva, ricca di foto, novità introdotta da “Il Giorno”. Poi venne il 1960, periodo di grande crisi causata dagli aumenti dei costi di produzione e dalla concorrenza di radio e TV: l’unica grande eccezione fu l’innovativo “Panorama”, per il resto si ebbe un aumento del numero di testate fra gli anni ’60 e ’70, ed una nuova successiva crisi, dovuta alla grave crisi petrolifera.

Il Giornalismo Contemporaneo (cap.4)

Parlando del mondo del giornalismo contemporaneo, occorre analizzare tre aspetti fondamentali:

  • Uomini – I giornali assomigliano ad uno specchio, e quindi rappresentano l’uomo nella sua natura e nel suo modo di esprimersi.

  • Notizie – Le notizie sono ciò che il mondo del giornalismo contemporaneo comunica. La notizia è un fatto. Secondo la scuola anglosassone, un fatto per essere una notizia deve possedere 5 requisiti, le 5W: who (chi), where (dove), when (quando), what (cosa/come), why (perché). Se manca anche un solo elemento siamo di fronte ad una notizia incompleta, e per questo da non pubblicare. Quando si dice che un giornalista deve possedere il senso della notizia, s’intende l’intuizione che strappa dall’anonimato un fatto e lo fa diventare interessante a chi legge e ascolta, ma anche utile per capire meglio aspetti di una realtà che altrimenti non verrebbero colti. Per questo si parla di giornalista come “watchdog”, ovvero custode nonché scopritore di notizie.

  • Imprese – La proprietà del giornale in mano ad un’impresa può cambiare l’assetto del giornale stesso.

1) Uomini

Alla base di ogni società, anche quelle primitive, esiste la comunicazione, la quale permette la conoscenza e la crescita attraverso lo scambio di idee e di esperienze. La comunicazione è un processo e l’informazione altro non è che un prodotto di quel processo. La stampa, nonostante sia stata superata dalla televisione, resta insostituibile perché rappresenta una sorta di confessionale di gruppo in cui vi partecipa una collettività. Di conseguenza essa rimane fondamentale nei processi comunicativi che riguardano l’umanità.


Ma l’informazione è anche potere: chi ne possiede di più e chi la riceve in modo più veloce possiede un sicuro vantaggio sugli altri. Inoltre un’informazione scatena sempre una reazione, che può essere emotiva o fisica, o comportamentale (come l’acquisto di un libro). Di conseguenza, quando si parla di potere dell’informazione, è altrettanto importante parlare di libertà di stampa: non sempre essa è possibile visto che i governi e le aziende spesso, in modo più o meno palese, cercano di monopolizzarla per i loro scopi, vista la sua importanza. Si pensi che la stampa è riuscita a porre fine persino alla presidenza di Nixon negli USA. Ma come è possibile garantire la libertà e la veridicità delle informazioni riportate nei giornali? Chi le assicura?

L’Ordine Professionale dei Giornalisti

Nel 1963 nasce l’Ordine professionale dei giornalisti a tutela del’esercizio della libertà d’informazione e per garantirne la correttezza. Lo sviluppo del mondo e delle tecnologie hanno cambiato anche la figura del giornalista, cui ora si richiede una serie di competenze ed alti livelli di specializzazione, oltre che una serie di qualità deontologiche (di correttezza). Esempio, cosa non deve fare un giornalista? Utilizzare le notizie di mercato per trarre vantaggi personali economici (insider trading); creare “mostri” nella cronaca; non definire il confine fra pubblicità e informazione. In generale esistono due scuole di pensiero riguardo alla professione di giornalisti: una sostiene che l’attività giornalistica sia un mestiere (quindi imparata artigianalmente, sul campo), e vuole l’abolizione dell’Ordine professionale; l’altra la ritiene invece una professione (quindi appresa attraverso un percorso di studi), e di conseguenza difende l’Ordine. Addirittura in Italia si è arrivati ad un referendum abrogativo, nel 1996, in cui si chiedeva l’abolizione dell’Ordine, ma non ebbe esito positivo.

Proprio nel ’96-’97 nascono in Italia i corsi di giornalismo e la laurea in Scienze della Comunicazione, allo scopo di dare una solida base scientifica e tecnica alla professione. In ogni modo, per accedere all’Ordine, in particolare quello dei professionisti, bisogna superare l’esame di stato che abilita all’esercizio della professione: possono sostenere questo esame coloro che dispongono di una laurea in giornalismo, o che hanno svolto un periodo di praticantato presso una redazione giornalistica. C’è chi sostiene che un giornalista debba avere portato a compimento un percorso di studi, mentre c’è chi sostiene che il giornalista, per formarsi, abbia bisogno del praticantato, di conseguenza la redazione appare sempre come la vecchia bottega dove imparare il mestiere. Probabilmente la soluzione migliore è il praticantato, meglio ancora se affiancato da una laurea.

Gli Uomini del Giornale

Il giornale è un lavoro collettivo. Ad un articolo possono infatti lavorare più persone: chi lo scrive, chi lo titola, chi lo integra, chi lo corregge. Indispensabili però sono il direttore e la redazione.

  • Direttore – Il direttore di un giornale è colui che conduce la barca. Può avere tre stili di conduzione diversi:

Ø STILE CARISMATICO – Il carisma, secondo Max Weber, è una qualità straordinaria che fa emergere una persona al di sopra delle altre. Lo stile carismatico porta il lettore ad identificare la testata con il direttore stesso, tanto che si usa dire “La Repubblica di Scalfari” o “Il Giornale di Montanelli”. Il giornale si personifica e diventa il giornale delle battaglie condotte da un uomo con la sua squadra, e si rafforza il concetto di stampa come strumento di potere capace di condizionare le dinamiche politiche, sociali e culturali. Ogni direttore carismatico crea una “scuola”, ovvero un determinato modo di sentire il lavoro giornalistico che si trasmette a tutta la redazione. È un vero e proprio capitano. De Benedetti (“La Stampa” 1948-69), Montanelli (“Il Giornale Nuovo” 1974), Scalfari (“La Repubblica” 1976).

Ø STILE POLITICO – Tutti i giornali fanno politica e interpretano degli interessi, anche quelli che apparentemente sono meno politicizzati. In questo caso al direttore spetta la regia, ma gli viene anche chiesto di interpretare le situazioni del paese e l’umore dei suoi lettori. Si tratta di un ruolo di guida. Spadolini (“Corriere della Sera” 1968-72), Feltri (“L’Europeo”).

Ø STILE MANAGERIALE – Il giornale è un’azienda, e come tale va gestito e amministrato. Oggi un direttore deve possedere anche spiccate doti manageriali, perché l’editoria ed il business si muovono in modo sincronico. In parole povere, il direttore manageriale è colui che lavora molto sul prodotto e l’organizzazione, per ottenere risultati migliori. Sechi (“Panorama”), Locatelli (“Il Sole – 24 Ore”). Panorama è un mensile che nasce nel 1962 grazie ad una collaborazione fra Mondadori e Time-Life, nel tentativo di imitare i magazines americani: dopo poco entra in crisi ed i soci americani si ritirano. Mondadori allora chiama Sechi e nel 1967 Panorama passa al newsmagazine con uno stile molto particolare: gli articoli non sono firmati, in quanto frutto del lavoro del gruppo, che scrive con lo scopo di presentare i fatti separati dalle opinioni. Più avanti Sechi pensò di aggiungere al progetto un po’ di sano impegno civile, inaugurando un giornalismo aggressivo che smontava le versioni ufficiali dei centri di potere. Sechi diede le dimissioni nel 1979. Il Sole-24 Ore nasce invece nel 1965 dalla fusione del Sole col 24 Ore, grazie a Locatelli. Il segreto del suo successo è il rapporto professionale fra giornale e lettori: il quotidiano fornisce un servizio alla comunità presentando utilissime informazioni e notizie sull’economia.

  • Capo-Redattore – Prima di giungere alla fase definitiva, il quotidiano affronta una serie di tappe di assemblaggio sotto gli occhi attenti del capo-redattore, che costituisce il punto di contatto tra direzione e redazione. I suoi compiti sono: filtrare le agenzie e segnalare le notizie più importanti, coordinare la scansione delle pagine, orientare gli spazi pubblicitari. Il capo-redattore svolge un ruolo centrale per la definizione della qualità di un giornale.

2) Notizie

Ogni notizia ha una fonte o un canale che la raccoglie e la mette a disposizione dei mezzi di comunicazione. Il giornalista può essere testimone della notizia, o può andare a scovarla tramite l’inchiesta. Generalmente però il quotidiano prende le notizie dalle agenzie di stampa, che giorno e notte forniscono informazioni da tutto il mondo. La prima agenzia di stampa, la Havas, compare a Parigi nel 1835, seguita dalla Wolf a Berlino (1851) e dalla Stefani a Torino (1853), fondata dal giornalista veneziano Guglielmo Stefani. Tra la Stefani e la Havas viene presto firmato un contratto di collaborazione. Nel 1945 esce il primo servizio dell’Agenzia nazionale stampa associata (ANSA), una cooperativa alla quale oggi aderiscono 45 quotidiani. La sua sede centrale è a Roma. Dopo la Stefani, comunque, nascono altre agenzie di stampa quali la AGI (Agenzia Giornalistica Italia, 1950), la AGA (Agenzia giornali associati,1953), l’agenzia economica Radiocor (sempre nel 1953) ed infine la Adn-Kronos (1960). Nel mondo, attualmente, le principali agenzie sono la AFP (Agence France Presse) che nel 1945 ha sostituito la Havas, l’AP (associated press) di New York (1848), la Reuter di Londra (1851) e la UPI (United press international, 1907) di New York. Negli Stati Uniti le agenzie sono fondamentali, tanto che l’80% del prodotto giornale viene realizzato con testi d’agenzie, mentre in Italia solo il 40-50%: altre fonti sono i corrispondenti ed i cronisti specializzati. Il giornalista, in questo senso, ha una grande responsabilità: quando riceve una notizia da un’agenzia, deve verificarne il contenuto, ascoltare altre fonti ed approfondirla. Per far ciò è necessario che il buon giornalista si costruisca una affidabile rete di fonti.

3) Imprese

Quando cambia la proprietà di un giornale scattano gli allarmi, non solo fra i giornalisti della redazione che si interrogano sul futuro loro e della testata, ma anche in campo politico, in quanto il passaggio di proprietà di un giornale, trattandosi di uno strumento di potere, può cambiare gli equilibri di un paese. Per evitare eccessive concentrazioni di imprese di stampa da parte di poche aziende, il Parlamento ha approvato una legge che vigila sulle acquisizioni dei giornali (il Garante) e che indaga sul bilancio di quest’ultimi. In seguito ad alcuni scandali dovuti ad enormi buchi nei bilanci (come quello di RCS Editore), negli anni Novanta le imprese editoriali si sono rafforzate trasformandosi in gruppi, al fine di ampliare il mercato e la produzione, e di dotarsi di una struttura finanziaria più solida: questo però ha causato un notevole calo della libertà di stampa, a causa di rapporti sempre più forti fra giornali e centri di potere (soprattutto economici). Un caso tipico di battaglia di potere all’interno di una casa editrice si ha avuto (e si ha tutt’oggi) con la disputa fra De Benedetti e Berlusconi per il controllo della Mondadori, mentre un esempio di “salvezza” finanziaria tramite raggruppamento si ha con la Rizzoli, il cui crack è stato evitato da un intervento della RCS.

4) Pubblicità e Giornalismo

Si sa, la pubblicità è l’anima del commercio, ed il giornale non fa eccezione: un giornale senza pubblicità muore perché non potrebbe sopportare i costi di gestione. Ma quello della pubblicità nei giornali è un campo minato. Il primo scandalo scoppia in Francia nel 1836 con l’editore di “La Presse”, De Girardin, il quale decide di destinare l’intera 4 pagina alle inserzioni pubblicitarie. Il fatto sconvolge l’opinione pubblica perché, fino a quel momento, esistevano due tipologie di giornali separati: il giornale vero e proprio e le testate economiche, dove le notizie si mischiavano con gli annunci pubblicitari, anche se inizialmente si trattava solo di piccole inserzioni senza immagini, che saranno introdotte una ventina d’anni più tardi. Con l’avvento della TV il giornale entra in crisi, perché le immagini trasmesse meglio si prestano al racconto di episodi e di fatti. È lì che il giornale, per sopravvivere, si fonde con la pubblicità, che diventa determinante per lo sviluppo di una testata: la pubblicità assume una posizione centrale nel sistema dei media, al punto di decretare il successo o il fallimento di qualsiasi iniziativa editoriale, vecchia e nuova.

La dura competizione tra carta stampata e TV investe il giornalismo nel 1984. Cominciano così le strategie di marketing che hanno lo scopo di incrementare il fatturato tramite inserzioni pubblicitarie sempre più massicce. Ma i tempi dell’abbondanza pubblicitaria lentamente declinano: nel 1989 l’espansione pubblicitaria ha una battuta d’arresto, e nel 1990 rallenta così tanto da mettere in serio pericolo l’esistenza stessa dei periodici, che della pubblicità hanno un bisogno vitale. Comincia così la gara ai gadget: i periodici, per vendere, cominciano a regalare merce di qualsiasi tipo, come profumi, libri, gadget ecc. Ecco il colpo di genio di alcuni direttori: il giornale può essere acquistato non per quello che dice ma per quello che regala, riuscendo nelle migliori delle ipotesi a creare un rapporto di fiducia col lettore. Deontologicamente non è una cosa da lodare, anche se va detto che questo sistema ha favorito una diffusione più capillare del libro.

Il rapporto fra giornale e pubblicità è comunque assai complesso, e prende in analisi tre aspetti fondamentali: innanzitutto il fatto che entrambi sembrano inseparabili, per il ruolo di sopravvivenza che l’uno svolge nei confronti dell’altro; ma essi possono diventare anche acerrimi nemici. La pubblicità può infatti facilmente soffocare il giornale, al punto da diventare causa di disaffezione del lettore, che sarà portato a pensare che quel giornale viene venduto per fare pubblicità e non per riportare notizie (che a quel punto saranno tutto tranne che credibili), e questo ovviamente non farà del bene nemmeno ai pubblicitari. Il secondo aspetto riguarda la pubblicità ingannevole: il messaggio influenza il lettore portandolo a credere che tutto ciò che c’è scritto sia vero, di conseguenza quando la pubblicità è riportata sotto forma di articolo, senza alcuna distinzione dal testo giornalistico, si corre il rischio di voler manipolare subdolamente il lettore. Per risolvere il problema, nel 1988, gli esperti pubblicitari e i giornalisti hanno stilato il “Protocollo sulla trasparenza pubblicitaria”, dove vengono elencati gli obblighi ai quali bisogna attenersi per garantire una corretta informazione. Il terzo nodo riguarda il rapporto testo-pubblicità all’interno di un giornale. Spesso la convivenza fra i due può generare incomprensioni o inferenze scorrette, che finiscono per danneggiare la credibilità dell’articolo e del giornale stesso: per esempio un articolo che critica la mercificazione del corpo femminile, riposto accanto ad una pubblicità con una bella donna, susciterà qualche dubbio sulla serietà della testata.


Giornalismo e Ricerca Mediatica (cap.6)

La produzione giornalistica è attraversata anche da altri fenomeni di condizionamento: gatekeeping, agenda setting e globalizzazione.

1) Gatekeeping

Gatekeeper (portiere, guardiano) è un termine inglese coniato da David White per indicare il ruolo giocato da coloro che decidono il contenuto di qualsiasi canale mediatico, e come esso debba essere presentato al pubblico. La teoria sociologica del Gatekeeping, elaborata negli anni ’40 da Kurt Lewin e successivamente ripresa da White, si propone di spiegare il processo di raccolta, elaborazione e diffusione delle notizie. Il percorso dell’informazione giornalistica è fortemente condizionato da coloro che hanno il potere di selezionare il notiziabile, e di trattare le notizie come meglio credono: basti notare il fatto che l’80% delle notizie d’agenzia a livello mondiale è prodotto da 3 agenzie di stampa (Reuter, France Press, Associated Press), per capire quanto il flusso dell’informazione (dai grandi ai piccoli quotidiani) sia condizionato da poche realtà, che lo controllano. Il flusso informativo, secondo Dennis MacShane, è composto da tre tappe:

Ø Gathering (Raccolta di notizie)

Ø Selecting (Selezione delle notizie)

Ø Treating (Trattamento delle notizie – il gatekeeping più forte avviene in questa fase)

2) Agenda Setting

La Teoria dell’Agenda Setting, avanzata nel 1972 da McCombs e Shaw, sostiene che i mass media predispongono per il pubblico un certo “ordine del giorno” degli argomenti cui prestare attenzione. A lungo s’è dibattuto su quanto i media possano comunicare alle persone cosa è importanto e cosa dev’essere preso in considerazione. Già nel 1922 Lippmann sosteneva che il pubblico dei media non si trova davanti agli eventi reali, bensì a “pseudo-eventi”: questo perché sono i media a modellare la nostra visione della società e del reale, sono in grado di strutturare i nostri pensieri e di portarci ad un mutamento cognitivo. Organizzano e ordinano il mondo in cui viviamo, inducendoci a prestare attenzione a certi eventi piuttosto che ad altri: magari non riusciranno a dirci cosa o come pensare (al contrario di quanto sostenevano le prime teorie sociologiche sui media), ma sicuramente riescono a dirci su quali argomenti pensare qualcosa. Esistono tre diversi tipi di agenda:

Ø Agenda dei Media – I media indicano al pubblico ciò che vale la pena di prendere in considerazione.

Ø Agenda del Pubblico – Le questioni e gli eventi che interessano al pubblico.

Ø Agenda Politica – Le questioni che riguardano il paese, di cui discutono i politici (leggi).

Questi tre tipi di agenda non sono distinte, in quanto interagiscono e si mescolano fra di loro in un processo di 3 fasi:

  1. I media stabiliscono la loro agenda riportando certi eventi piuttosto che altri.
  2. L’agenda dei media interagisce col pubblico, che tende ad assimilarla come propria agenda.
  3. I politici discutono le questioni che sono di maggiore interesse per il pubblico.

In realtà non è sempre vero che l’agenda dei media definisce l’agenda del pubblico: il potere dei media non è assoluto ma dipende dalla credibilità del media, dal grado culturale degli individui che ne usufruiscono ed infine dalla loro necessità di una guida. Non a caso le persone che più si lasciano influenzare dai media sono quelle spaesate, che hanno bisogno di un maggior orientamento. Ma se i media condizionano più o meno il pubblico, chi è che condiziona l’agenda dei media? Dall’interno i media sono spesso influenzati dalle decisioni amministrative ed editoriali dei proprietari, dalla programmazione e da esigenze di spazio e tempo (fonti interne); dall’esterno i media sono sottoposti al controllo delle autorità, degli sponsor e persino dell’opinione pubblica (fonti esterne).

Negli ultimi anni Shaw e McCombs sono arrivati alla conclusione che i media hanno il potere di influenzare anche il modo in cui pensiamo, non solo il tema su cui ragioniamo. Questo avviene soprattutto attraverso due processi:

Ø Processo di Priming – Il processo che vede i media influenzare e aumentare l’importanza di una data questione agli occhi del pubblico, e che riesce anche a innescare nel pubblico il ricordo delle informazioni acquisite precedentemente su quella questione. Tutti i membri del pubblico sono soggetti a questo processo.

Ø Processo di Framing – Il processo che vede i media mettere in primo piano alcuni eventi ed ignorarne degli altri. Questa selezione provoca diversi tipi di reazione nel pubblico.

Per quanto riguarda le relazioni fra gli organi interni dei media e gli organi di pressione esterni, possiamo dire che esistono quattro diversi rapporti di forza:

  1. Integrazione/Conflitto – Quando sia gli organismi interni che quelli esterni godono dello stesso potere di influenza sul media: in questo caso, se le due parti sono d’accordo si avrà una integrazione di forze verso il comune obiettivo; in caso contrario, si avrà un conflitto.

  1. Manipolazione – Quando gli organismi esterni sono forti e i media deboli, i primi faranno di tutto per piegarli ai loro fini e manipolarli.

  1. Indipendenza – Quando i media sono forti e gli agenti esterni deboli, saranno loro a stabilire la loro agenda, senza interferenze esterne.

  1. Debolezza Congiunta – Quando sia i media che gli agenti esterni sono deboli, entrambi perderanno il potere di decidere l’agenda che verrà così decisa dagli eventi stessi.

3) Globalizzazione

Il termine globalizzazione (diventato di uso comune solo negli anni Ottanta) viene illustrato da Robert White e si riferisce alla tendenza della società moderna al superamento delle differenze culturali, alla formazione di una cultura mondiale e di una società basata su un unico sistema economico di produzione e consumo. I media, intesi come tecnologia ma anche come mediatori e come istituzioni, assumono un ruolo centrale nella formazione della cultura globale, perché costituiscono la base di collegamento di tutte le diverse culture. Il ruolo di coordinamento economico, politico e culturale in seno a qualsiasi processo globale è svolto, dal secondo dopoguerra, dagli USA: non a caso spesso la globalizzazione è associata al capitalismo, all’importanza primaria della ricchezza, ad un mercato che impone valori, modi di pensare e di agire. In questo senso la globalizzazione è vista come un’ondata distruttiva che minaccia seriamente le norme sociali che hanno tutelato le persone ed i loro riferimenti culturali. In realtà, quando si parla di globalizzazione, ci si può riferire a tre processi distinti:


Ø Aggressività del Capitalismo – La globalizzazione è intesa come la forza aggressiva del capitalismo politico-economico, che impone le sue regole ai mercati internazionali. Essa è intesa come la ricerca ossessiva di potere e ricchezza. Il mercato e l’economia sono oramai internazionali e questo limita fortemente il potere degli Stati-nazione: il ruolo economico dello stato è caduto di fronte alle possibilità offerte dal mercato internazionale, e la base delle relazioni sociali e morali dei popoli si sta velocemente spostando dal mito del progresso nazionale ai diritti degli uomini in quanto uomini, appartenenti tutti ad un unico mondo. I media sono stati costretti a trasformarsi da strumenti mitizzanti della nazione, a strumenti mitizzanti dell’uomo.

Ø Risoluzione dei Problemi – In questo caso la globalizzazione è intesa come un processo che aiuta l’uomo a risolvere i suoi problemi, il quale intravede nella globalizzazione una accattivante possibilità di risolvere le difficoltà quotidiane. La risoluzione di tali problemi non è più vista nella religione o nel metafisico, almeno non come tanti anni fa, ma nella scienza e nella tecnologia: in questo i media sono decisivi in quanto permettono a popoli più arretrati (ma anche a certe classi) di “acculturarsi” ed appropriarsi di soluzioni razionali appartenenti a civiltà più industrializzate. Si pensi per esempio a come è cambiato il ruolo delle donne.

Ø Mescolanza e Ibridazione – La globalizzazione viene intesa come quel processo che permette la mescolanza e l’ibridazione delle diverse culture messe a contatto, con il risultato di un appiattimento delle differenze fra i vari popoli. Anche in questo caso i paesi più arretrati tendono ad adottare le usanze ed i modi di fare di quelli più industrializzati: in alcuni casi, molto rari, l’adozione è totale, mentre in altri si preferisce una “reinterpretazione”, che adatta le novità ai propri caratteri culturali. Ecco le 3 forme di ibridazione possibili:

· METAFORA DEL RAMO INNESTATO – La prima forma di ibridazione è rappresentata dalla metafora di un ramo innestato su una radice culturale pre-esistente. Ogni cultura tende a possedere dei valori che non cambieranno mai, ma al tempo stesso permette l’ingresso di novità culturali, ma solo se esse accettano di non cambiare le radici della cultura che li accoglie.

· METAFORA DELLA MESCOLANZA RAZZIALE (MESTIZAJE) – Una forma di ibridazione che avviene soprattutto nel caso delle persone che emigrano in un nuovo contesto, e lì devono costruirsi una nuova vita. In questo contesto gli emigranti possono dare vita ad una nuova cultura, mescolando un po’ del loro passato con un po’ della nuova realtà: questo processo di ibridazione si oppone ai movimenti fondamentalisti che pretendono di difendere la loro cultura originaria e di imporla anche agli altri. È comunque a causa del mestizaje che molte culture rischiano di perdere i loro tratti originari unici.

· METAFORA DEL RITORNO AL PASSATO – L’ultima forma di ibridazione riguarda quei gruppi ai quali è stata imposta dall’esterno una nuova cultura e che sentono grande sofferenza per non avere più una cultura propria. In questo caso tali gruppi cercano un ritorno al passato mescolando i pochi elementi culturali originari rimasti ed integrandoli con altri elementi culturali del presente: in realtà molto raramente si tratta di un vero ritorno al passato, in quanto spesso tali culture sono state quasi cancellate dalle invasioni esterne (si pensi alla colonizzazione dell’America), quindi tendono a creare una cultura nuova mescolando con il presente quel poco di passato che gli è rimasto.

Occorre specificare che questi tre processi di globalizzazione possono tranquillamente coesistere in molti contesti ed agire simultaneamente, così come anche le tre metafore di ibridazione: questo ci fa capire che la globalizzazione non tenda a creare una cultura unica ed omogenea, bensì una cultura globale ed eterogenea, caratterizzata dalla frammentazione e dalla continua modifica delle sue forme.


Etica e Giornalismo (cap.7)

Il rapporto tra etica e giornalismo coinvolge innanzitutto la persona del giornalista, non solo come professionista, con delle regole da seguire, ma anche come uomo, con una certa morale da rispettare. La libertà d’informazione e critica è un diritto fondamentale del giornalista, sancito dalla Costituzione e regolato dalla legge n.69 del 1963, ma questo non significa che il giornalista è autorizzato a scrivere tutto ciò che gli pare. Quindi, quali sono realmente i suoi diritti ed i suoi limiti? Come già accennato, deve rispettare sia il codice etico della comuità in cui vive, in quanto uomo, sia il codice professionale. L’Ordine dei giornalisti è l’organo che, fra i vari compiti che gli competono, ha il compito di controllare che questi codici non vengano infranti.

1) Obiettività: un Mito o un Ideale?

Abbiamo più volte detto che uno degli obblighi di un giornalista è quello di dire la verità, quello di essere obiettivo. L’obiettività dovrebbe teoricamente permettere al giornalista di esporre i fatti senza pregiudizi, senza valutazioni su cosa sia giusto o sbagliato, e questo è uno dei principali fondamenti del giornalismo. Al riguardo, però, numerosi sono stati i dibattiti.

A tal proposito è importante ricordare il pensiero di grandi autori come Umberto Eco, che nel 1969, in un supplemento dell’Espresso intitolato “Il lavaggio dei lettori”, elenca i difetti del giornalismo italiano. Eco ci parla dell’obiettività come mito, ossia come manifestazione di falsa coscienza, uno strumento che serve per coprire altre cose. Nel 1978 Eco approfondisce le sue idee. Secondo lui, l’obiettività ha due limiti: un limite “alto”, irraggiungibile in quanto non può mai esistere una corrispondenza assoluta fra realtà ed esposizione giornalistica, ed un limite “basso”, che consiste nel separare giornalisticamente la notizia dal commento. Nel 1982 il sociologo Giovanni Bechelloni approfondisce il concetto di obiettività, sostenendo che essa viene dai più considerata come una menzogna soggettiva travestita, ma che in realtà l’obiettività dev’essere considerata un traguardo a cui mirare costantemente: l’ammettere a sé stessi che essa esiste ed è possibile, anche se magari non lo è, spinge il giornalista ad una continua tensione verso la verità, verso l’interpretazione oggettiva. Una tensione che forse non si realizzerà mai, ma che intanto spinge il giornalista a lavorare correttamente. Tre sono le regole dell’obiettività giornalistica:

  1. Separare dal fatto l’opinione personale.
  2. Riportare fedelmente un eventuale dibattito in corso.
  3. Convalidare le notizie attraverso fonti attendibili ed autorevoli.

Linguaggi e Generi Giornalistici (cap.8)

Chiave fondamentale del giornalismo è il linguaggio, e gli strumenti del linguaggio giornalistico sono i diversi generi usati per renderlo più facilmente leggibile, comprendibile e appetibile al pubblico. Il giornale è un medium, e pertanto ha il compito di mediare la realtà attraverso un suo linguaggio (Saussure). Come poi sostiene Giovanni Faustini, il giornale è un soggetto (anche se si tratta di un soggetto plurale, composto da più voci), ed in quanto soggetto possiede delle caratteristiche che lo distinguono dagli altri: testata, titoli, grafica, colore, immagini ecc. Il giornale ha quindi una propria immagine di marca, riconoscibile non solo dai lettori che con esso, ed in base alla sua immagine, hanno stipulato un contratto di fiducia, ma anche da coloro che proprio per la sua immagine l’hanno rifiutato. In altre parole, il giornale è un soggetto di valore capace di creare atteggiamenti di attrazione o rifiuto, in base alla sua immagine di marca.


Tradizionalmente, il linguaggio giornalistico si è sempre differenziato sia nei media (quotidiani, tv, radio, internet) sia nei diversi generi. Sorvolando sulla distinzione, già analizzata, fra fatti ed opinioni, possiamo individuare i principali generi in uso in un giornale: editoriale, corsivo, fogliettone (feuilleton), inchiesta, reportage, intervista, profilo.

Ø Editoriale – Una volta rappresentava il parere del direttore. Oggi viene affidato ad esperti e si confronta con diverse opinioni all’interno dello stesso giornale (si pensi agli editoriali di Igor Man su “La Stampa” e dedicati al mondo arabo). L’editoriale consente di esprimere le opinioni che si vogliono.

Ø Corsivo – E’ una sorta di editoriale ben delimitato come spazio, spesso da riquadri o linee, e stampato appunto in corsivo. Il suo stile è spesso graffiante ed ironico-sarcastico. Sempre su “La Stampa” si ricordano i corsivi di Ceronetti e Gramellini.

Ø Fogliettone – Derivante dal francese feuilleton. Con fogliettone s’intende, più che un genere, una collocazione che finisce per definire lo stesso genere. In effetti una volta si indicava con questo termine la parte più in basso della pagina dedicata ai romanzi e ai racconti. Si tratta di una sorta di articolo creativo in stile narrativo, dove si dà ampio spazio anche alla fantasia e all’insinuazione.

Ø Inchiesta – E’ un genere che parte da informazioni o da fatti già acquisiti: richiede grande impegno di ricerca e di documentazione, ed è per questo che oggi è sempre meno praticata. Oggi l’inchiesta è soprattutto legata a temi d’attualità, e ne esistono tre tipi:

· INVESTIGATIVA – L’inchiesta classica, che parte dall’accertamento di documenti e fatti controversi. Caposaldo del giornalismo “watchdog”.

· DOCUMENTARIA – Un’inchiesta che punta all’arricchimento informativo, solitamente scartato da un’informazione affrettata.

· INTERPRETATIVA – Un’inchiesta che non solo analizza l’informazione ma la valuta attraverso il supporto di esperti.

Ø Reportage – E’ realizzato da un solo giornalista, solitamente un inviato speciale, in costante aggiornamento fra testo e contesto. Il giornalista cerca di guardarsi attorno e di allargare così l’informazione. È un genere che punta molto sui particolari e sulla passione, sull’emotività, e per questo rimane un genere ancora oggi molto praticato, nonostante la concorrenza televisiva ed informatica.

Ø Intervista – L’intervista è un ferro da usare con intelligenza. Esistono interviste di tutti i tipi: utili, inutili, sarcastiche, brevi, lunghe, ecc. Prima o poi tutti i giornalisti si ritrovano a doversi confrontare con l’intervista. Essa nasce nel 1973, sul settimanale “Il Mondo”, con un’intervista a Indro Montanelli, passata alla storia perché, a causa delle sue dichiarazioni lontane dal centro-sinistra, causerà il suo licenziamento da “Il Giornale”. Sia questo, sia altri episodi servono a delimitare i criteri di un uso rispettoso e funzionale dell’intervista: essa deve far notizia, deve trattare argomenti di attualità e che “vanno” nel periodo considerato, deve puntare su soggetti intervistati di qualità e di fama, deve essere fatta da giornalisti preparati sul tema discusso, con domande chiare e brevi, senza che l’intervistatore oscuri o maldisponga l’intervistato, e senza che il giornalista esprima opinioni (ma può anche farlo, come gli inviati di Striscia). Nel caso in cui l’intervista si trasformi in un articolo di giornale, il giornalista deve fare un sapiente uso delle virgolette, in modo da non travisare certe dichiarazioni. Un tipo speciale d’intervista, collettiva, e la conferenza stampa: un’occasione per vedere all’opera scoppiettanti polemiche, scontri e crisi di nervi. Il successo di un’intervista non dipende solo dalla preparazione ma anche dalla creatività e dalla fantasia. Altri tipi di interviste sono quelle “a caldo”, fatte a personaggi comuni in mezzo alla strada, o quelle “volanti”, improvvisate. L’intervista spesso è il mezzo che fa capire il talento di un giornalista, in quanto lo mette alla prova su tanti aspetti della sua professione, non solo sulla preparazione e sulla creatività, ma anche sul piano della comunicazione chiara e tesa a non offendere nessuno.

1) La Redazione del Giornale

Abbiamo già detto che il prodotto giornalistico è frutto di un lavoro collettivo, ma questo non toglie che ogni azienda giornalistica è divisa in quattro settori distinti, ma che lavorano in simbiosi: redazione, amministrazione, stampa e diffusione. Si comincia tutto con la raccolta delle notizie, attraverso le fonti (corrispondenti, agenzie di stampa, archivi): a tal proposito occorre ricordare che sta scomparendo la figura del giornalista tuttofare, in favore del giornalista specializzato nei vari settori, capace anche di improvvisare in settori non suoi. La struttura del giornale viene in genere decisa in una riunione di redazione, le cui scelte sono discusse ed infine approvate o meno dal direttore, affiancato dal vice-direttore, dal redattore-capo, dal grafico e da eventuali inviati o collaboratori meritevoli. Si valutano lunghezza e collocazione dei servizi, che il grafico sistemerà secondo schemi in genere già stabiliti dallo stile della testata: oltre al rispetto dei termini di consegna, il giornalista moderno deve stare soprattutto attento a non sforare le battute prestabilite di un articolo, in quanto un articolo troppo lungo rischierebbe di far saltare l’intera impaginazione. Il personale di redazione varia a seconda delle dimensioni dell’azienda editoriale, della sua diffusione (nazionale o interregionale), così come varia l’impaginazione e lo stile a seconda delle testate. I collaboratori vanno dalle poche unità per i fogli locali alle decine di giornalisti per quelli di media portata, fino ad arrivare a centinaia nel caso di testate di maggior prestigio, o addirittura migliaia nel caso di testate straniere gigantesche (come il giapponese “Asaki Shinbun”, che impiega oltre 5000 professionisti).

2) Il Linguaggio dell’Informazione

La regola delle 5W non basta per scrivere un buon articolo: il linguaggio del giornalista non deve mai essere sciatto e monotono, e soprattutto non può storpiare la lingua. Anche per questo motivo, per diventare giornalisti, occorre seguire un percorso di studi specifico per ottenere una proprietà d’uso dell’italiano completa e soddisfacente: strafalcioni ed errori grammaticali possono infatti ledere in modo irrimediabile l’immagine del giornalista e soprattutto della testata. Per quanto riguarda lo stile, non ci sono regole: tutto si basa sulla creatività e l’originalità del giornalista, che maturerà il proprio stile col tempo e con la pratica. È comunque sempre importante il titolo, che dev’essere esaustivo ma non per questo monotono e stereotipato: deve catturare l’attenzione del lettore, che spesso non ha il tempo né la voglia di leggere l’articolo, limitandosi al titolo.

3) La Pubblicità

E’ sempre più diffusa la sensazione di vivere in un mondo fatto di inserzioni e di pubblicità: nulla ci salva dall’urlo della reclame, che ci tartassa quotidianamente. Ma chi esercita il mestiere di giornalista deve purtroppo fare i conti con questa realtà: senza la pubblicità, i media non sono in grado di sopravvivere, a meno che non siano finanziati da contributi pubblici, come “L’Unità”. Oggi si calcola che un quotidiano, per sopravvivere, deve ricorrere alla pubblicità in grandi quantità, fino a raggiungere il 60% degli introiti globali. Del resto sono falliti gli esperimenti di stampa senza pubblicità, come il Reader’s Digest.


Oggigiorno, un quotidiano è infestato dalla pubblicità dalla metà ad un terzo dei suoi fogli. Non sempre si tratta di pubblicità accettabile, come nel caso di pubblicità irriverenti come quella dell’Amica chips, o dell’accoppiamento fra due cavalli ma, come si suol dire, tutto fa brodo quando c’è da guadagnare, ed i quotidiani in particolare hanno un grande bisogno di soldi. Soltanto una stampa o un audiovisivo eticamente o ideologicamente caratterizzati fanno una selezione della pubblicità: per esempio Radio Vaticana non ne trasmette, idem “L’Unità”, mentre quotidiani come “Il Giornale” (di proprietà di Paolo Berlusconi) ne fanno un uso smodato. Una via di mezzo Famiglia Cristiana, che pur essendo una testata cattolica ne fa uso, ma con moderazione. Inoltre è di grande importanza analizzare il potere che un inserzionista ha nei confronti dei giornali, soprattutto quando ne diviene sponsor: è accaduto più volte che un grosso sponsor abbia ritirato la sua pubblicità da giornali che ne avevano rovinato, direttamente o indirettamente, l’immagine, causando grossi danni economici al giornale stesso (l’Eni, o il colosso dell’energia Montedison col Corriere della Sera, negli anni ‘70). Questo fa capire quanto le aziende pubblicitarie e le grosse industrie possano arrivare a manipolare i quotidiani che sponsorizzano, e questo vale anche per le realtà giornalistiche più piccole: in Italia negli anni ’60, Alberto Cavallari, direttore del Gazzettino di Venezia, venne licenziato in tronco perché, in caso di necessità, preferiva eliminare le pubblicità piuttosto che gli articoli!

La raccolta della pubblicità diventa per i giornali motivo di sopravvivenza: una sopravvivenza sempre più difficile a causa della Legge Gasparri, che ha escluso le telepromozioni dal calcolo dell’affollamento pubblicitario in TV, e che ha fatto sì che molte aziende abbiano dirottato i propri spot proprio verso la televisione. Dopo una grave crisi nel ’95, i quotidiani si erano risollevati grazie alla pubblicità, costretta a dirottare sulla carta stampata per via dell’esaurimento degli spazi concessi in tv dal governo, tanto che dal ’98 i ricavi dovuti alla pubblicità hanno addirittura superato quelli dovuti alle vendite del giornale. Dal 2004, a causa della già citata legge, il giornali sono andati incontro ad un forte regresso pubblicitario. È grazie a discutibili decisioni governative come questa che la stampa italiana è fortemente penalizzata da un punto di vista pubblicitario: in Germania, per esempio, emittenti private e molto importanti come RTL e Sat 1 sono state multate di molti milioni di euro per aver sovraffollato di pubblicità i programmi, una “par condicio” che in Italia non potrebbe mai accadere.

Inoltre si continua a discutere sull’influenza negativa dello spot, soprattutto a livello morale. È scontato che un creativo di pubblicità sia in grado di raggiungere molte più persone rispetto un giornale ed un settimanale: per l’uomo comune, ha sicuramente più peso uno spot che un articolo di giornale. E questo diventa ancora più grave se si pensa alle pesanti ricadute psicologiche sui soggetti più deboli, in particolare i minori: ad esempio l’aumento del fenomeno dell’obesità è attribuito al desiderio di mangiare e di ingozzarsi veicolato dagli spot, alle volte vere e proprie pubblicità ingannevoli. Secondo il “Rapporto McBride”, stilato dall’Unesco 30 anni fa, la pubblicità sfrutta in modo grossolano concetti tipo la virilità, la sensualità, la femminilità e la felicità rapportate al mero possesso di beni materiali: se un bell’uomo guida un auto, dobbiamo averla; se una bella donna indossa biancheria, dobbiamo averla, anche se tutto ciò è irrazionale. La pubblicità, sfruttando questi stereotipi, incoraggia le persone a prendere decisioni in modo frettoloso, senza ragionare: è una tecnica subdola ma realmente efficace, e la prova sono i miliardi che si investono nella pubblicità. Secondo Edoardo Brioschi, questa forma di condizionamento pubblicitario s’è venuta a formare durante i 6 ultimi decenni del XX secolo. La questione è seria, specie dal punto di vista etico: nemmeno la Chiesa (nel 1978 con Paolo VI) si è dimostrata insensibile alla questione, segno che la pubblicità davvero influisce sulla vita culturale ed influenza le scelte dell’uomo. Addirittura alcuni vescovi, esagerando, hanno definito la pubblicità il nuovo oppio dei popoli, o addirittura un commercio indecente: esistono problemi più gravi, onestamente, ma questo non deve far dimenticare la pericolosità degli spot.

Il fatto che siano addirittura nati quotidiani dedicati esclusivamente alla pubblicità (come “Secondamano” o “Portobello”), denota che alla gente piace. Un 40% si lamenta, ma l’altro 60%?


4) Gli “Speciali”

Nel corso degli anni hanno cambiato varie volte nome, ma sono sempre esistiti: supplementi, speciali, o come va di moda chiamarli oggi, dorsi. Si tratta di pubblicazioni orientate alla gestione del tempo libero del lettore, ma di grande dignità, contenenti anche argomenti più seri della moda. Queste pubblicazioni vengono vendute in allegato alle copie dei giornali: il sovraprezzo è molto ridotto, ed il prezzo in generale è minimo se paragonato alla quantità di fogli dello speciale, ma questo è dovuto al fatto che esso si è già largamente ripagato con la pubblicità. La loro diffusione è esplosa negli anni ’60, quando la Corte Costituzionale consentì la vendita di gadget allegati ai giornali. La prima testata che pubblicò degli speciali allegati al giornale fu “Il Giorno” nel 1956, con “Il Giorno dei ragazzi”, dove trovavano tra l’altro spazio le mitiche strisce di Cocco Bill (Jacovitti), oltre a pagine dedicate all’economia, al sindacale ed al rinnovamento del lessico (col mitico Brera nello sport).

5) La “Free Press”

La stampa gratuita, nonostante vanti un lontanissimo predecessore nel 1667 (City Mercury, inglese), è un’invenzione molto recente: il primo esempio di free press fu pubblicato a Stoccolma nel 1995, edito dal gruppo svedese Metro International, col nome di “Metro”, e che oggi continua ad essere distribuito in tutto il mondo. Sulla scia di Metro sono nate altre iniziative similari come “20 Minutes” del gruppo norvegese Schibsted, anch’esso diffuso oggi in tutto il mondo tranne in Germania dove questo tipo di stampa è stato vietato perché ritenuto concorrenza sleale nei confronti della stampa regolare. In Italia, oltre a Metro esistono “City” del gruppo Corsera e “Leggo” del gruppo Caltagirone: coprono le principali città e si rivolgono ad un pubblico ampissimo, che può trovare le copie in giro per la città o in metropolitana. I lettori più assidui della free press sono gli extracomunitari.

I quotidiani gratuiti, che raccolgono pubblicità per 40-50 milioni di euro, si leggono facilmente, posseggono un linguaggio semplice e lineare, vengono interamente pagati dalla pubblicità e per questo nessun articolo supera mai le 2000 battute (circa 35 righe) tranne il paginone centrale dedicato alle inchieste. Sono composti da 24 a 40 pagine, che contengono ognuna dalle 12 alle 15 notizie: metà e forse più è dedicato alla pubblicità, accuratamente separata dal testo. Vi lavorano pochi giornalisti con regolare contratto, e molti “stagiari”. I contenuti sono neutri, accurata la veste grafica. Molti sostengono che i giornali della free press sia quell’esempio di stampa popolare mai avuto in Italia.

6) La Stampa Tecnica

Anche la stampa tecnica costituisce una riserva di lavoro per i futuri giornalisti: è un settore che tira tantissimo e che può essere un ottimo banco per fare apprendistato dopo la laurea. Essa si interessa di settori quali quelli tecnico-professionali, scientific, culturali e di informazione: i comparti maggiormente interessati sono medicina, elettronica-informatica, edilizia.

La Cronaca (cap.9)

L’elemento chiave dell’informazione giornalistica è l’avvenimento: nella maggior parte dei casi si tratta di un fatto determinato che riguarda un certo numero di persone, che si svolge in una certa località, in una certa data e secondo determinate modalità. Questo si chiama cronaca, e cronaca è quindi giornalismo.


In mancanza di comunicazioni, che si tratti di radio, TV o giornali, il mondo si spegne ed è costretto a riadattarsi gradualmente, come ipotizzava McLuhan. Basti pensare a quando, negli anni 70, New York rimase senza pubblicazioni a stampa a causa di uno sciopero: nel periodo finale, gli abitanti avevano ridotto di molto le loro capacità di dialogo, e quasi non si parlavano perché materialmente non sapevano di cosa parlare. Questo per provare che, senza comunicazione, si può arrivare alla disgregazione del tessuto civile. La cronaca, e quindi il racconto degli avvenimenti, è quindi fondamentale per la cultura e la società in cui ci troviamo immersi. Chi fa o si accinge a fare il giornalista, prima o poi sarà chiamato a praticarla. Vi sono tre tipi di cronaca:

Ø Cronaca Nera – Tratta tutti gli avvenimenti e comportamenti negativi della società.

Ø Cronaca Bianca – Informa sugli aspetti positivi o neutri della società, come spettacolo, sport, cultura ecc.

Ø Cronaca – In generale, si riferisce alla vita di una comunità in una zona limitata geograficamente: l’informazione che esce da questo ambito, se ritenuta interessante, assume un interesse a livello nazionale.

Le fonti della cronaca sono molteplici:

Ø I “Mattinali” (Cronaca Nera) - Per gli avvenimenti di “nera”, il cronista deve rassegnarsi ad una lunga scarpinata quotidiana, andando a consultare i “mattinali” di polizia, carabinieri, vigili, guardia di finanza, pompieri, capitanerie di porto, guardie mediche (i registri nei quali sono riportate in brevi resoconti le informazioni pubblicabili raccolte nelle ultime ore). Qui è possibile scovare notizie che vanno dai crimini più gravi, ai ricatti, alle rapine, agli incendi, agli scontri fra ultras ecc.

Ø Sale Stampa (Cronaca Nera) – Nelle città più grandi, il giornalista può andare a scovare la notizia nelle sale stampa, dove un portavoce delle forze dell’ordine comunicherà dettagli riguardo certe situazioni. Oggi, per legge, tutte le strutture pubbliche devono mantenere i rapporti con la comunità attraverso gli uffici stampa. Persino la Chiesa si è attrezzata con un ufficio stampa.

Ø Tribunali e Preture (Cronaca Giudiziaria) – I giornalisti della “giudiziaria” potranno andare nei vari tribunali a seguire i dibattiti più importanti. Anche in questo caso i vari uffici hanno i loro addetti stampa.

Spesso nelle redazioni più grandi, vi sono giornalisti che sondano i vari terreni della cronaca a tempo pieno; nelle redazioni più piccole invece, molti incarichi possono essere svolti da pochi uomini: è il caso del corrispondente locale che segue le agenzie, la cronaca, le radio e le tv presenti sul territorio. Ogni bravo cronista deve avere la propria agendina personale, con tutti i collegamenti professionali: deve stare ben attento a non smarrirla o potrebbe, a causa della legge sulla privacy, risponderne in tribunale. È buona norma intrecciare rapporti personali coi propri contatti, sia che si tratti di contatti ufficiali o ufficiosi, ed è altrettanto fondamentale non tradire la loro fiducia, per non bruciare fonti molto preziose. In ogni caso, anche se la notizia viene da una fonte attendibile, è sempre buona norma verificarla il più possibile con altre fonti per evitare possibili querele. Infine è molto importante che il giornalista sia il più possibile documentato sui testi fondamentali per conoscere ciò di cui va a caccia: cronaca nera e giustizia richiedono, per esempio, la conoscenza dei codici e dei testi giudiziari, oltre che delle leggi e dei regolamenti della polizia. Inoltre è sempre indicata una buona padronanza della topografia della città e dell’area geografica in cui si vive o che interessa. Il tutto unito al controllo dei media e alla curiosità!


La cronaca quotidiana è un segno altamente qualificante del giornale, e deve trattare di argomenti ovviamente attuali, che possono svolgersi dietro casa (un omicidio) oppure agli antipodi (guerre, eventi sportivi come le Olimpiadi). Anche la cronaca, e questo è scontato, deve rispettare la regola delle 5W di Lasswel. Inoltre un giornale deve sempre essere informato sulle pubblicazioni delle testate concorrenti, questo perché solitamente esse presentano tutte gli stessi argomenti, ma li differenziano all’interno (o li spettacolarizzano tramite il titolo): se manca un fatto riportato dagli altri giornali, si è un presenza di un “buco”; se si ha l’esclusiva di un evento, specie clamoroso, si ha uno “scoop” (colpo di scopa). Va detto che gli scoop, per un giornale, sono sempre più rari: troppo forte la concorrenza di radio e TV che agiscono in tempo reale, per non parlare delle grandi agenzie di stampa, che spesso addirittura si copiano a vicenda.

La Politica Interna (cap.10)

Tutto è politica, in quanto essa è impegno nella società civile (Paolo VI) e partecipazione alla vita associata. Quindi politica non è solo votare, o seguire i partiti del proprio paese, ma anche studiare, lavorare, divertirci, ecc. La politica entra quindi in varie forme, e da grande protagonista, nella nostra esistenza, e per questo merita di essere comunicata dal giornale. Ciò come avviene? Possiamo distinguere 3 grandi settori in una testata:

Ø Interni (Parlamentari, Giudiziari, Sindacali)

Ø Esteri

Ø Economia

Partiamo con la Politica Interna: in essa convergono svariati interessi che ne fanno, per tradizione, il settore redazionalmente più nutrito. Il suo nucleo principale è animato da giornalisti parlamentari, cronisti politici e sindacali, redattori giudiziari. Costoro seguono le attività del Governo, del Parlamento e della Presidenza della Repubblica. Seguono anche le Istituzioni maggiori: Corte Costituzionale, Consiglio della Magistratura, Corte dei Conti, Consiglio di Difesa. Seguono movimenti e partiti. Inoltre seguono anche gli uffici giudiziari più importanti: Corte di Cassazione, Procura Antimafia, Autorità di Controllo (privacy), Tribunali ecc.

Un ruolo particolare è svolto dai giornalisti parlamentari, che seguono le attività del Governo, della Camera e del Senato, oltre che dei partiti: costoro hanno accrediti speciali, rilasciati dal giornale e autorizzati dagli organi competenti, e li sfruttano per accedere ai luoghi del “Palazzo” (Pasolini), dove si esercita il potere. Si tratta di professionisti preparati, in grado di interpretare una “Gazzetta Ufficiale”, o di scoprire le magagne di un nuovo progetto di legge, o ancora di portare alla luce le manovre di alleanze politiche o di governo, o ancora le crisi fra partiti e fra politici. La loro esperienza è il frutto di anni di pratica e di collegamenti, di un’agendina piena di nomi che contano, di rapporti personali con gli addetti stampa, di ore di attesa nelle anticamere, di espedienti spesso al limite del codice penale (come la violazione dei segreti d’ufficio), di aggiornamenti e letture quotidiane. E non è un caso se molti di loro, prima o poi, provano l’avventura in politica in prima persona. Oggi i più importanti sono: Lilli Gruber, Santoro, Veltroni, Del Noce, Ferrara, Pannella, Gasparri.

In quello stesso spazio va inserita la vita giudiziaria: grandi processi riguardanti personaggi politici, ma anche dell’economia e dello sport, in quanto la vita giudiziaria ha una grande risonanza nel mondo politico. In questo caso i giornalisti giudiziari sono spesso avvocati, e conoscono a menadito le leggi e tutto ciò che riguarda la giustizia.


Il terzo grande settore che confluisce negli interni riguarda le vicende sindacali, in quanto le organizzazioni di difesa dei diritti e degli interessi dei lavoratori svolgono un ruolo preminente negli avvenimenti nazionali. Il giornalista che si occupa di tali vicende deve avere una approfondita conoscenza della storia e delle strutture di tali organizzazioni (come la CGIL), nonché delle controparti, ovvero delle associazioni di categoria come Confocommercio e Confindustria. Ma il settore sindacale non solo fa parte degli Interni, ma è anche un ponte verso l’economia, anche se la componente predominante rimane quella politica. Gli specialisti di questo settore conoscono i movimenti dei sindacati, ne anticipano le mosse, ne indicano le strategie e le possibili collocazioni politiche. È molto difficile trattare con loro, a causa (paradossalmente) dell’estrema disponibilità dei loro uffici stampa: tanto disponibili che spesso si rasenta la strumentalizzazione. Qui il giornalista dev’essere abile a vagliare le varie informazioni, senza farsi prendere in giro. Esistono grandi giornali che curano servizi sindacali spesso al di sopra delle parti, anche se legati a grossi industriali, come “La Stampa”, legata alla FIAT ma molto attenta alle necessità dei lavoratori torinesi.

1) La Stampa Quotidiana Politica

Oggi la documentazione storica non appartiene più solamente agli archivi riservati, ma è anche e soprattutto patrimonio della stampa, almeno nei paesi dove c’è libertà d’informazione. Le dittature cercano di spegnere la voce della storia, spegnendo le dissidenze attraverso la censura, ma c’è sempre qualcuno che riesce a raccontare le vicende dall’esterno, e la realtà degli avvenimenti prima o poi emerge sempre. Anche per merito dei giornali di partito, che sembrano tutt’altro che obiettivi ma che, attraverso i vari scontri con i partiti avversari, finiscono alla fine per dare informazioni chiave. Il 15% dei quotidiani italiani dipende da un partito politico (come L’Unità, La Padania, Il Foglio, Il Manifesto), mentre altri quotidiani sono legati a schieramenti ideologici che non si identificano necessariamente con un partito in particolare (come “La Repubblica”, di centro-sinistra o “Libero”, di centro-destra). Gli altri, ovvero i cosidetti indipendenti, alimentano la dialettica civile. Vediamo qualche quotidiano politico:

Ø “Europa” – L’ultimo nato della stampa politica italiana. Si colloca nel centro-sinistra moderato (Margherita), è aperto alle problematiche, al volontariato. Il suo primo direttore è stato Nino Rizzo Nervo, oggi consigliere di amministrazione della RAI. Europa riceve dallo stato un contributo di 2,5 milioni di euro.

Ø Il Foglio Quotidiano – Fondato nel 1996, è legato al movimento garantista e diretto da Giuliano Ferrara. È uno dei rari esempi di destra intelligente e anticonformista, ed uno dei suoi finanziatori è Veronica Lario (ex compagna di Berlusconi). Riceve 1 ml di euro dallo stato.

Ø Il Manifesto – Uscito come settimanale nel 1969, espressione del gruppo critico all’interno del PCI. Dal secondo numero (diretto contro l’invasione sovietica che schiacciò Praga) entra in rotta di collisione col partito, la cui uscita viene ufficializzata nel 1971: in quell’anno diventa quotidiano e finisce più volte per scontrarsi col PCI. Nel 1978 il Manifesto assume come sottotitolo “quotidiano comunista” ed esplode nel ’91, durante la Guerra del Golfo. Da quel momento ha affrontato diverse crisi, e ancora oggi sopravvive grazie all’ammirazione dei lettori. Riceve circa 3 ml di euro dallo stato.

Ø Il Popolo – Fondato nel 1923 da Giuseppe Donati, come organo del Partito Popolare Italiano fondato nel 1919 da don Luigi Sturzo. Durò appena due anni, ma non temette di battersi contro il potere della dittatura fascista, accusata apertamente di essere il mandante degli omicidi di Matteotti e Minzoni, e per questo viene ancora oggi considerato un grande esempio di giornalismo politico. Chiuso nel 1925, ricominciò a circolare (clandestinamente) nel 1943, prima di ricomparire in veste ufficiale nel 1944, alla liberazione di Roma da parte degli alleati, guidato da Gonella. È stato l’organo della Democrazia Cristiana, e tale è rimasto, non senza una funzione culturale di raccordo fra politica e mondo cattolico e moderato. Quando dopo 50 anni la DC s’è dissolta tornando alla vecchia sigla di Partito Popolare, il giornale ha continuato ad essere di proprietà del partito, fino alla chiusura per difficoltà economiche, avvenuta nel 2003 dopo molti anni di crisi.

Ø Il Secolo D’Italia – Fondato nel 1952 da Franz Turchi, senatore del Movimento Sociale Italiano, solo nel 1963 diventerà l’organo ufficiale del partito (MSI), e in seguito di Alleanza Nazionale, nuova denominazione del partito dal 1993. Diretto da Flavia Perina, la caratura del giornale è modesta in quanto rimane un bollettino di partito. Riceve 3 milioni.

Ø La Discussione – Quotidiano dell’UDC dal 1995. Prima di diventarlo era un settimanale, fondato da De Gasperi nel 1952, come strumento di propaganda popolare della DC. Oggi vivacchia, e si ritrova vittima di improvvise chiusure e riaperture.

Ø L’Avanti! – Fondato nel 1896 da Leonida Bissolati, esponente del socialismo riformista. Il giornale fu protagonista di grandi battaglie di libertà a favore del proletariato operaio e contadino: non a caso i suoi primi anni furono caratterizzati da chiusure, censure e sequestri. Nel 1912 il giornale fu diretto da Benito Mussolini che lo trasferì da Roma a Milano raddoppiandone la tiratura, ma alla vigilia della prima guerra mondiale Mussolini, diventato interventista, lo abbandonò per fondarne uno proprio (“Il Popolo D’Italia”). Nel 1925, dopo una dura resistenza alla repressione fascista, L’Avanti venne soppresso, come tutti i giornali avversi al Regime, per poi tornare in clandestinità nel 1943 ed ufficialmente nel 1944. Nel primo dopoguerra ebbe un periodo di splendore. In seguito, sia per la crisi del PSI (contrastato dal PCI a sinistra) sia per un calo delle tirature, si accasò presso la Casa delle Libertà, e sopravvive coi contributi dello stato. L’attuale direttore è Sergio De Gregorio, a capo di una minuta redazione di 7 giornalisti.

Ø Liberazione – Organo ufficiale del Partito della Rifondazione Comunista. Nato nel 1991 come settimanale e passato nel 1995 a quotidiano, rappresenta un esempio di giornalismo militante di buon livello. Lo dirige Piero Sansonetti.

Ø L’Unità – Fondata nel 1924 da Antonio Gramsci, leader del Partito Comunista d’Italia, nato dalla scissione dal PSI. Nato inizialmente come “quotidiano degli operai e dei contadini”, diverrà quasi immediatamente “Organo del PC d’Italia”. Nei due anni successivi i fascisti assaltano e incendiano svariate volte la redazione del giornale, sino a quando non fu dichiarato fuorilegge, nel 1926. dal ’27 al ’39 continua a uscire clandestinamente, provocando arresti di vari giornalisti e tipografi, fino a riapparire nel 1944 a Roma, mentre al Nord nel 1945. A lungo L’Unità è stato non solo il quotidiano di riferimento del PCI, ma di tutta la sinistra all’opposizione, con un grande peso culturale: basti pensare ai numerosi intellettuali e accademici che vi hanno collaborato, e ai tanti giovani universitari che lo leggevano. Il periodo d’oro dura fino alla fine degli anni ’60, da allora va scemando insieme alla presa della stampa comunista, anche se la sua influenza politica rimane forte. Gli anni ’80 sono un periodo di grossa crisi. Nell’89 la svolta: si accentua la sua autonomia dal PCI, che nel frattempo è diventato PDS, e nel 1998 L’Unità viene ceduta ad un gruppo di imprenditori “amici”, per poi tornare nell’area dei DS, ultima denominazione dell’ex-PCI. Dopo una durissima crisi, che la porta alla chiusura, L’Unità passa nelle mani di Furio Colombo e successivamente di Antonio Padellaro. Il quotidiano, che fa grande cultura, è talmente autonomo da arrivare a polemizzare persino con il partito di riferimento. Oggi è diffusissimo, e prende dallo stato 8 ml di euro.


L’Informazione dall’Estero (cap.11)

L’informazione dall’estero è il secondo grande settore d’importanza per il giornale, in quanto pone alla nostra attenzione, in tempo reale, tutto ciò che accade aldilà dello spazio fisico che immediatamente ci circonda e interessa: sport, guerre, elezioni, drammi lontani, moda ecc. E’ quello che il teorico dei mass media McLuhan chiama “villaggio globale”. Siamo immersi, al limite dell’ossessione, da una quantità di notizie spaventosa: il guaio è che spesso gli addetti ai lavori non sanno operare una adeguata selezione, e gli stessi spettatori sono spesso incapaci di comprendere il significato di ciò che gli si comunica (il 40%): un esempio assurdo sono gli americani, di cui oltre 1/3 ha creduto per anni che Saddam fosse coinvolto nell’attentato alle Torri Gemelle.

Ma il dato più interessante riguarda la comunicazione in tempo reale: due secoli fà la notizia della decapitazione di Luigi XVI Re di Francia impiegò settimane prima di arrivare da Parigi a Roma. Oggi ci arriverebbe in pochi minuti, se non durante l’esecuzione stessa, magari trasmessa in diretta TV. Di conseguenza riusciamo a capire quanto spazio possano occupare le notizie estere in un giornale, e per questo occorre specificare che esse sono presenti un po’ ovunque, non solo nella sezione “esteri”, ma anche in economia, sport, spettacoli, e ovviamente cronaca. Se ieri il giornalista inviato, o il corrispondente, riusciva a lavorare senza farsi battere dalla concorrenza della TV, oggi invece il suo lavoro è sempre più sostituibile, tanto che molte testate l’hanno sostituito con una serie di servizi come televideo, agenzie, internet ecc. Di conseguenza egli non può limitarsi a riportare dall’estero semplici notizie nude, ma deve approfondirle, inquadrarle nella società dal quale provengono, sfruttando non solo il suo proverbiale fiuto (ed una grande aggressività e spirito d’iniziativa) ma anche una grandissima preparazione pregressa, come può essere la conoscenza approfondita di un paese, le sue lingue, i suoi sistemici economici e politici, la sua cultura e le sue mode. Per questo è sempre consigliato un periodo di ambientazione e di studio nei paesi dove si deve lavorare. Ma adesso andiamo a studiare le fonti:

Ø Lettura Stampa Estera – La fonte più immediata per apprendere ciò che accade nei paesi stranieri è ovviamente la stampa estera. Oggi giornali e settimanali stranieri arrivano con puntualità in Italia, senza considerare le rassegne stampa disponibili su internet. Tale lettura non deve avvenire occasionalmente, quindi solo quando c’è da scrivere un pezzo, ma è utile farla quotidianamente, per diventare affini e per studiare un paese pur restando a casa.

Ø Annuari Stranieri – Così come in Italia abbiamo la DeAgostini, anche all’estero hanno i loro annuari e sommari, la cui lettura può essere molto utile per la formazione di un certo corredo documentario, fondamentale per il giornalista che si occupa di esteri.

Ø Istituzioni/Associazioni Culturali – A Roma e a Milano, ma anche in altre città, sono presenti associazioni ed istituzioni culturali che permettono un bagno nella loro cultura, come il Goethe Institut o il British Council, dove è possibile assistere a film, produzioni musicali, conferenze utilissime per entrare nella logica e nella vita di un paese straniero.

L’allargamento dei confini mondiali, se non l’annullamento di essi, ha fatto dei giornalisti dei veri e propri mediatori culturali: non più dei tuttologhi, in grado di fare tutto e niente, ma dei professionisti esperti e fortemente settorizzati, che possono mettere in contatto culture diverse, istituzioni diverse nel modo meno drammatico possibile. Per questo motivo la stampa estera è così importante, perché permette alle popolazioni di apprendere costumi diversi e problematiche diverse, come quelli del Terzo Mondo per esempio.


L’Informazione Economica (cap.12)

L’informazione economica è stata fondamentale per la nascita del giornalismo. Non a caso l’invenzione di Gutenberg, già presente in Cina da alcuni secoli, favorì la diffusione di primi bollettini riguardanti prezzi di merci. L’informazione economica è potere perché, oggi, l’economia sta occupando sempre più spazio a scapito della politica, della cultura, addirittura delle identità nazionali, già messe in crisi dalla globalizzazione, essenza stessa di un fenomeno economico: il capitalismo. Il giornalismo quindi ruota attorno all’economia, sia perché interessato agli scambi, sia perché fonte di potere che gestisce e veicola informazioni. La stampa deve fornire sempre informazioni di grande precisione, soprattutto in questo campo, in quanto va a toccare gli interessi di personaggi importanti e può addirittura influenzare l’andamento di un’industria o di un titolo in borsa. Oggi, come in tanti altri settori giornalistici, non basta più affidarsi al fiuto nell’informazione economica, ma avere una seria preparazione culturale e tecnica, accademica, oltre ovviamente alla conoscenza delle Borse, del mercato dei cambi e delle società di controllo. Anche in questo caso, non è raro che chi si occupa dell’informazione economica abbia un piede dentro quel mondo: spesso i giornalisti economici sono anche docenti universitari. L’informazione economica si può dividere in 4 grandi aree, che ovviamente sconfinano da un campo all’altro:

Ø Politica Economica – L’informazione di questo tipo si occupa delle attività di governo, della fiscalità, delle pensioni, del commercio interno ed estero, e delle conseguenze sui mercati di guerre e terrorismo.

Ø Economia e Finanza – Si occupa delle vicende della Borsa, del fluttuare dei cambi, dei bilanci delle aziende, delle attività delle banche e di indici quali l’inflazione.

Ø Relazioni Industriali – Riguardano la strategia di Confindustria e delle altre organizzazioni di categoria, le centrali sindacali, la gestione e il controllo delle proteste dei lavoratori.

Ø Impresa – Si occupa di tutto ciò che riguarda il settore delle imprese, dallo sviluppo concreto alle vicende giudiziarie, dai passaggi di proprietà ai rapporti coi sindacati.

Per poter esercitare la professione in questo settore molto specialistico bisogna avere non superficiali conoscenze e capacità di interpretazione delle vicende politiche e sociali del paese, o di aree più vaste. Bisogna saper leggere gli indici dell’Istituto Nazionale di Statistica (la “Gazzetta Ufficiale”), e saper interpretare alcuni dati decisivi quali quelli relativi all’occupazione, all’andamento del commercio estero, al prodotto interno lordo, all’inflazione, alle disposizioni fiscali ecc. Il settore preminente è quello dell’economia italiana, anche se poi si allarga all’estero e alla complessa realtà europea, perciò bisognerà conoscere anche le lingue straniere.

Nel nostro paese il giornalismo economico è partito tardi rispetto ad altri, dove la tradizione dell’informazione economica è partita con due grandi agenzie di stampa, alla fine dell’800: la Reuters inglese e la Havas francese. In Italia si è dovuto attendere il 1965 per avere un quotidiano, come “Il Sole – 24 Ore”, all’altezza delle aspettative. Un secolo esatto dopo “Il Sole”, fondato nel 1865 e divenuto nel secondo dopoguerra “Il Commercio 24 Ore”, che però non andava oltre i listini della Borsa. Ma dopo gli anni ’50 si cerca di recuperare il tempo perduto: il giornalismo economico ha uno sviluppo impetuoso. Il 1956 è l’anno della svolta: “Il Giorno”, la più moderna fra le testate nate nel dopoguerra, comincia a dedicare un’intera pagina all’economia, seguita via via anche dagli altri quotidiani, fino alla nascita del “Sole-24 Ore”. Va specificato che anche la stampa generalista dedica ampi spazi ai temi economici, come “La Repubblica”. Quella straniera, in particolare anglosassone, rimane maestra del settore, arrivando anche a sfociare in temi politici, come “The Economist”, o “The Wall Street Journal” americano, frutto di antica tradizione.


Ma il panorama della stampa economica non sarebbe completo se si trascurasse la stampa sindacale, che occupa un paio delle macro-aree di quella economica: relazioni industriali e impresa. Ne fanno parte un’ottantina di periodici aziendali, in particolare “Conquiste del Lavoro” dal 1987, quotidiano della Confederazione italiana sindacati lavoratori, l’unico in Europa, al quale faceva concorrenza “L’Unità”, con le sue famose pagine sindacali. Va comunque specificato che “Conquiste” non è l’unico esempio di buon valore di stampa sindacale, in quanto tale stampa si muove in difesa delle esigenze di quanti, con il proprio lavoro, assicurano le possibilità produttive e il progresso materiale comune. Quando si parla di disoccupazione, del problema delle 35 ore, dell’abolizione dell’articolo 18 sullo Statuto dei lavoratori che garantisce la tutela del posto di lavoro, è sempre fondamentale l’intervento chiarificatore della stampa sindacale, con un giudizio che sarà improntato alla chiarezza, per il bene dei lavoratori, e che sarà quindi diverso da quello espresso dalla Confindustria o dalla Confcommercio. La stampa sindacali offre quindi un terreno di discussione fra le due parti.

Cultura e Spettacoli (cap.13)

Il termine cultura si presta spesso ad equivoci ed ambiguità, tanto da comprendere, in ambito giornalistico, temi vari e spesso diversi sotto la dicitura di “Cultura”. Ed in fondo, stando ad una delle centinaia di definizioni di cultura data dalla UNESCO, essa è “il modo comune di vivere in una società nella quale si affiancano gusti diversi e differenti modi di sentire”. A lungo la Terza Pagina, nata nel 1901 e dedicata ai fatti della cultura, è stata una tradizione tutta italiana che ha resistito per quasi un secolo: da quel momento la cultura sui giornali ha conosciuto una sempre maggiore frammentazione di servizi talvolta autonomi, talvolta raggruppati in modo molto appariscente in alcuni settori, come “Cultura” de “La Repubblica”. Occorre quindi distinguere i vari tipi di servizi.

1) Lo Spettacolo

Curiosamente, oggi, la pagina dello “Spettacolo” viene letta solo per aggiornarsi sui programmi televisivi, radiofonici, cinematografici, teatrali e musicali, e spesso tale pagina giustifica da sola l’acquisto del quotidiano stesso (dal 15% al 20% dei lettori)! Inoltre più di un quotidiano aggiunge uno speciale o un inserto dedicato allo Spettacolo. Questo settore è funzionale alla cronaca del tempo libero, e risponde a necessità pratiche di consultazione, come se si trattasse di una sorta di Pagine Gialle dell’intrattenimento. Il giornalista che approda a questo settore vi può arrivare casualmente, anche se spesso occorre un minimo di competenza acquisita altrove, attraverso la frequentazione di cineclub, di ambienti teatrali e musicali e di incontri o serate di lettura, o seminari. È un settore che comporta diversi sotto-settori:

Ø Cinema – La critica cinematografica nacque all’inizio degli anni ’30, negli anni del parlato. In Italia fu introdotta da “La Tribuna”, appunto nella Terza Pagina, appannaggio dei fatti della cultura. Ma conquistò uno spazio autonomo soltanto nel secondo dopoguerra perché il cinema, prima di diventare in questo periodo formidabile strumento di intrattenimento, era stato sotto Mussolini un formidabile strumento di propaganda. Destinato a soppiantare il teatro, e ad essere soppiantato a sua volta dalla televisione, il cinema rimane ancora oggi una delle distrazioni popolari più amate e seguite. Il critico cinematografico è non solo un esperto del settore, ma anche un assiduo frequentatore dei cinema, e quotidianamente si nutre di svariate proiezioni, anche quelle sconosciute al grande pubblico, sulle quali poi organizza sedute di discussione, dibattiti ed incontri. Accanto a ciò resta necessaria la preparazione accademica, che insegna svariati elementi che passano inosservati ai semplici fruitori passivi: importanza dei titoli di testa e coda, storia della pellicola, effetti tecnici come inquadrature, giochi di luce e drammaticità della pellicola; tutti elementi che aiuteranno il critico a stilare una recensione di qualità. Inoltre deve conoscere le lingue, per seguire gli originali e per gustarsi quei particolari che andrebbero persi attraverso il filtro del doppiaggio. Dovrà essere in grado di approcciarsi ai protagonisti del grande schermo, attori di natura e di professione. Dovrà essere in oltre in grado di valutare il cinema come uno strumento attraverso il quale veicolare messaggi positivi o negativi, cercando di non piegarsi ad eventuali tentativi propagandistici come furono quello fascista (che tra l’altro promosse la mostra del cinema di Venezia) e quello sovietico, senza sottovalutare la potenza del cinema americano come “educatore di popoli” e gli effetti su un pubblico vulnerabile composto da bambini e soggetti psicologicamente deboli. Roma è la città cardine, insieme a Milano, di questo mondo cinematografico, soprattutto perché in passato da Cinecittà son transitati molti divi stranieri del cinema.

Ø Teatro – Ciò che si è detto per il cinema vale anche per il teatro, anche se a quest’ultimo va attribuita una più alta forma di nobiltà culturale. Non è un caso che capolavori vecchi anche di secoli continuino oggi ad appassionare il pubblico, non dimostrando l’età che hanno, mentre invece capita molto raramente che vecchi film continuino ad essere considerati capolavori a distanza di molti anni. Questo perché i due hanno un peso culturale differente. L’arte della rappresentazione teatrale nasce infatti dal sacro e, pur essendosi evoluta verso significati laici e mondani, ha conservato nel suo DNA le caratteristiche della sua origine. A lungo il teatro è stato specchio della cultura della nostra società, e la stessa Terza Pagina, come già detto, è nata illustrando e commentando un’opera teatrale di D’Annunzio. Fra i premi Nobel si possono trovare grandi autori di teatro: Pirandello, Dario Fo. Per alcuni paesi la rappresentazione scenica ha origini estremamente nobili, come nel caso di Shakespeare in Inghilterra, Moliére in Francia, Goldoni D’Annunzio e Pirandello in Italia, Garcìa Lorca in Spagna. Per questo le vicende dei palcoscenici continuano a trovare spazio sui giornali, e non è affatto scomparsa la figura del critico teatrale.

L’Informazione Religiosa (cap.14)

L’informazione religiosa, nell’ambito della comunicazione, ha marcato un significativo sviluppo durante la seconda metà del XX secolo, trasformandosi da settore di nicchia per lettori con interessi confessionali a vera e propria disciplina professionale. Oggi non c’è quotidiano, periodico o televisione che non curi ottimi servizi che coinvolgono il mondo della fede. La religione, comunque, non è stata desacralizzata, anche se il linguaggio che ne descrive la fenomenologia s’è dovuto per forza di cose laicizzare. In ogni caso bisogna distinguere, nell’ambito giornalistico, la notizia religiosa: una cosa è riportare la cronaca di un fatto, un’altra è approfondirla, interpretarla e discuterla, e questo può farlo solo chi ha una grande preparazione culturale. Si tratta infatti di una materia che si attiene ad argomento molto sensibile per l’animo umano, e non può essere banalizzata. Di conseguenza il linguaggio dev’essere sì laico, ma comunque rigoroso e rispettoso.

Un buon informatore religioso deve avere una grande conoscenza del quadro storico, un solido collegamento con le fonti, e ovviamente la capacità di lettura di testi sacri come la Bibbia, il Vangelo o il Corano. Sono tutti elementi fondamentali in assenza dei quali è difficile fornire un’informazione plausibile del settore in esame. Le fonti sono le autorità delle confessioni più diffuse, le strutture che ne fanno capo (le Chiese) e gli ordini religiosi. Il mestiere del giornalista religioso è oggi favorito dalla trasparenza e dal sempre minore ricorso al silenzio, anche se, per accedere a luoghi come il Vaticano, il giornalista deve possedere dei permessi speciali concessi a pochi dalla propria redazione, la quale ovviamente deve avere l’autorizzazione del Vaticano stesso: se un giornalista non è molto affine alla Chiesa, difficilmente avrà tale permesso. La Santa Sede mette poi a disposizione una sala stampa di grande qualità, in modo da gestire con maggior chiarezza il rapporto diretto con l’opinione pubblica.


Per quanto riguarda la stampa cattolica, si tratta di testate spesso molto autorevoli, di alta qualità professionale nonché morale. Un quotidiano può definirsi “cattolico” se reca tale dicitura nei titoli e nei sottotitoli, se viene collegato a particolari istituzioni ecclesiastiche. Spesso il direttore e la redazione sono legati dal vincolo confessionale, fedeli all’insegnamento magisteriale e allo spirito della Chiesa.

Il Giornalismo Sportivo (cap.15)

Lo sport, oggi, s’è conquistato uno spazio enorme, non solo nel lessico ma anche nella coscienza comune. La stampa sportiva italiana nasce nel 1865 con il trimestrale “Il Bollettino trimestrale del club alpino” seguito poi da altri mensili. Nel 1890 il quotidiano “La Tribuna” per primo pubblica un supplemento settimanale dedicato allo sport, seguito nel 1892 dal “Corriere della Sera” e dal “Secolo”. Quello sportivo è un prodotto che in Italia s’è affermato con il volgersi dei tempi: il primo quotidiano a nascere fu, a Milano nel 1896, la “Gazzetta dello Sport”, a soli 3 giorni dall’apertura delle prime Olimpiadi dell’era moderna, ad Atene. Dovranno passare quasi 30 anni prima che nasca il “Corriere dello Sport” (1924, Bologna), divenuto quotidiano nel 1927 con il nome “Littorale” imposto dal fascismo, e successivamente tornato al nome originario nel 1944. Nel dopoguerra, a Torino nasce “Tuttosport” (1945), mentre a Bologna nasce in quello stesso anno “Stadio”, poi confluito nel “Corriere dello Sport” negli anni ’70. All’inizio del nuovo millennio le testate sportive sono quindi tre. Si rifletta sul fatto che, nonostante siano così poche, vendono e continuano a vendere una quantità enorme di copie. Fatto ancora più evidente se paragonate alle 4 testate sportive spagnole, o a quelle francesi. In Italia è necessario aggiungere anche altre testate settimanali, come “Guerin Sportivo” settimanale, o mensili, come “Quattroruote”.

Dal punto di vista professionale, si tratta di un importante settore che impiega migliaia di persone fra giornalisti e collaboratori: in Italia circa il 10% dei professionisti della stampa. Senza considerare le ampie pagine sportive nei vari quotidiani generalisti, che con i supplementi del Lunedì (giorno molto frenetico per la stampa sportiva) arriva a coprire 1/5 dell’intera informazione. E c’è da dire che molti quotidiani minori riescono a trovare il pareggio di bilancio solo con le pagine sportive del Lunedì, che da sole compensano l’intera produzione settimanale in perdita. Si capisce quindi che la stampa sportiva muove un giro d’affari di decine di milioni di euro, ed impiega un grande numero di professionisti garantendo un indotto di notevole rilevanza economica. Si pensi che la “Gazzetta” è per tiratura e diffusione in terzo quotidiano italiano, preceduto solo dal “Corriere della Sera” e da “La Repubblica”: nel 1982, in seguito alla vittoria italiana ai mondiali di Spagna, riuscì a diventare addirittura il quotidiano più letto in Italia, anche se solo per poche settimane, andandoci vicino anche nel 2006, per la vittoria azzurra in Germania. Nel settore ci sono quindi molte prospettive di speranze e di lavoro, anche se ciò non deve illudere vista la frenetica concorrenza nel mondo del giornalismo sportivo.

Ma il giornalismo sportivo si è evoluto, cambiando faccia e contenuti: dalla descrizione si è passati al commento, giudizio, critica, dietrologia. Ogni tifoso, nel suo bar, diventa commissario tecnico e si sente autorizzato a pensare che al posto dell’allenatore avrebbe fatto vincere la sua squadra. Uno sport che diventa sempre più parlato e sempre meno giocato: una valvola di sfogo, quella dello sport discusso, che va a pareggiare l’inadeguatezza delle strutture sportive, che spesso frenano l’irruenza dei giovani, che non avendo a disposizione ampi spazi per giocare, finiscono per concentrarsi sull’aspetto parlato. Ma questa è solo una mezza verità, visto che lo sport viene praticato molto in Italia, soprattutto a livello dilettantistico, che purtroppo riceve poca attenzione dai media. Il giornalismo sportivo è stato rivoluzionato da personaggi diventati dei veri e proprio miti, come per esempio Gianni Brera, Giorgio Tosatti, Candido Cannavò. Per non parlare dei cronisti del calibro di Bruno Pizzul, Sandro Ciotti e di tutte quelle altre personalità che con lo sport hanno fatto fortuna imperitura.


Il servizio sportivo, sia nei giornali che nelle tv, ha delle regole, degli orari, dei ritmi e dei linguaggi tutti suoi. È indipendente alle linee guida della testata, tanto che spesso lo stesso direttore ne capisce davvero poco di sport. Ma i criteri di elaborazione dei servizi e di reperimento delle informazioni non differiscono dagi altri settori giornalistici: le cronache degli eventi e delle partite sono affidate a veri e propri esperti della disciplina, coadiuvati da ex-sportivi in vesti di opinionisti. La raccolta delle notizie parte dalle fonti: uffici stampa (delle società, del CONI, delle singole federazioni), rapporti diretti coi giocatori, allenatori e dirigenti, familiarità con le tifoserie e i fan club. È fondamentale per un giornalista sportivo conoscere la storia della disciplina, e magari averla anche praticata (cosa che spesso accade), visto che al momento della cronaca o della stesura di un articolo sarà chiamato a “condire” l’avvenimento con notizie e cenni che possano intrattenere il lettore/ascoltatore.

Va anche detto che spesso tutta questa attenzione verso lo sport, soprattutto a causa delle mistificazioni dei media, finisce per causare violenza come nel caso degli ultras. Lo sport stesso, da solo e senza il bisogno dei media, tende a ricoprirsi di violenze ed illegalità di ogni tipo, come Calciopoli, senza parlare degli atteggiamenti delinquenziali di alcuni giocatori, o del calcio-scommesse. Lo sport ha praticamente rinunciato ad ogni forma educativa, trasformandosi in un fenomeno di massa che muove centinaia di miliardi e che ruota attorno a logiche di marketing e di pubblicità, trascurando la sua vecchia funzione sociale (si pensi ai megastipendi dei divi dello sport, o al fatto che i media, per questioni pubblicitarie, ignorino completamente i dilettanti). E non è un caso se personaggi del calibro di Arrigo Sacchi, o del papa Giovanni XXIII abbiano criticato l’eccessiva esasperazione dei media, che pur di occupare i palinsesti inventano polemiche fini a sé stesse, col risultato di educare negativamente il telespettatore.

1) Il Linguaggio dello Sport

Le pagine sportive di un giornale si differenziano dalle altre sia per l’enfatizzazione dei titoli e della grafica, sia per il linguaggio del tutto particolare, un vero e proprio gergo che ha finito per influenzare anche tutti gli altri campi della comunicazione: si pensi a strutture e metafore del tipo zona cesarini, passare la palla, meta, gol, contropiede, fare catenaccio, scendere in campo, fare melina, campagna acquisti, palla al centro, mettere al tappeto, fischiare la fine, che son diventati propri anche di altri lessici, come quello politico e addirittura letterario. Si tratta di una sorta di koiné sportiva che ha finito per rendere consueti certi modi di dire anche al di fuori dello sport: questo perché un lessico di forme ripetute, familiari, permette la comprensione di informazioni anche e soprattutto al di fuori del campo di origine, tramite l’utilizzo di metafore in questo caso molto diffuse. Ma la capacità di creare un nuovo lessico non appartiene a priori a qualsiasi giornalista sportivo: per lasciare il segno, per poter coniare nuovi termini e a volte addirittura stravolgere quelli esistenti, occorre essere giornalisti dotati di un grande retroterra culturale, capaci di avventurarsi in metafore ardite, senza però scadere nella sciatteria, nella volgarità o nell’uso di termini che sempre più spesso richiamano le guerre e la violenza, provocando comportamenti scorretti in chi li legge (assaltare il nemico, bombardare, lasciare senza vita, cattiveria agonistica). Personaggi del calibro di Gianni Brera, per esempio, inventore di alcune locuzioni storiche come la famosa pallonata “alla viva il parroco”, o gli “abatini”, cioè quei giocatori che evitavano lo scontro fisico. Infine occorre dire che la gestualità stessa è comunicazione, e siccome lo sport è fatto di gestualità, esso è comunicazione allo stato puro: oggi il telespettatore è viziato, crede di poter capire una partita di calcio solo con l’aiuto del commento, in realtà togliendolo si è in grado di cogliere l’essenza dello sport, assistendo ai gesti, alle parole dal campo, che un telecronista non è in grado di fare.


La Stampa Giovanile (cap.16)

Nell’ambito della produzione editoriale destinata ai minori occupa un posto di rilievo la cosidetta “stampa giovanile”, destinata ai bambini, adolescenti e giovani fino ai 18 anni. È un settore molto complesso in quanto presta attenzione sia agli elementi pedagogico-educativi sia alle esigenze commerciali del consumo. Tali esigenze vengono oggi raccolte dall’editoria dei periodici con la redazione di prodotti specifici destinati all’infanzia e all’adolescenza. Tutt’oggi le riviste destinate ai bambini rappresentano un formidabile strumento per il marketing di prodotti destinati a queste categorie di mercato.

1) Rassegna Storica

L’impegno di rinnovamento scolastico e pedagogico fiorito negli anni dell’Italia post-unitaria, con lo sviluppo dell’editoria scolastica, favorisce la nascita di numerosi periodici per i minori, fra i quali spiccano “Cordelia” e “Il Novellino”.

Ø “Cordelia” - Nasce a Firenze nel 1881, diretto da De Gubernatis ed edito da Le Monnier: vi collaborano, fra gli altri, scrittori di grosso calibro quali Carlo Collodi. Il periodico si rivolge alla famiglia e alla casa, e si presenta come “foglio settimanale per le giovinette italiane” che “stiano in famiglia o vanno ancora a scuola”.

Ø “Il Novellino” – Nasce a Roma nel 1899 come “foglio illustrato a colori per bambini”: fra i collaboratori ricordiamo Felicita Morandi e Grazia Deledda. Il Novellino, il primo a proporre pagine illustrate a colori, resterà in vita fino al 1922.

Ø Il “Corriere dei Piccoli” – Viene pubblicato come supplemento del “Corriere della Sera” nel 1908. Il “Corrierino”, come veniva sovente chiamato, resterà in vita fino al 1993, sempre fedele al modello di famiglia piccolo-borghese. “Stai zitto fifì, devo leggere il giornale” – “ora anche voi potrete farlo!”.

Ø “La Domenica dei Fanciulli” – Nasce a Torino nel 1900, edito da Paravia. Graficamente povero, compensa con dei contenuti davvero interessanti: novellina morale, racconto a puntate, versi, vignette, corrispondenza coi lettori, pubblicità editoriale sia dei prodotti della Paravia che altri (cioccolata, ricostituenti, bambole). Il giornale si rivolge anche al mondo degli adulti: famiglie, scuole, istituzioni educative.

Ø “Il Giornalino della Domenica” – Nasce a Firenze nel 1906 edito da Bemporad e diretto da Luigi Bertelli (in arte, Vamba). Bertelli è un grande uomo di cultura, avendo fondato associazioni culturali ed avendo organizzato convegni coinvolgendo i suoi giovani lettori. Dopo la sua morte, il “Giornalino” viene affidato a Fanciulli, poi viene rilevato nel 1924 dalla Mondadori e diventa quindicinale. È diventato famoso per essere stato il primo a pubblicare, fra il 1907 ed il 1908, il giornalino di Gian Burrasca, divenuto libro soltanto nel 1920.

Ø “Lo Scolaro di Genova” – Nato a Genova nel 1912, vivrà fino al 1972.

Ø “L’Amico della Gioventù” – Nato a Catania nel 1903 per iniziativa dei Salesiani, pubblica composizioni e articoli dei ragazzi delle scuole.


Negli anni Trenta la stampa per ragazzi ha un’enorme diffusione, soprattutto si verifica il boom dei fumetti: nel 1933 “Il Monello”, “Rin Tin-Tin”, “Primarosa” (per le bambine), “Mandrake” e “Tarzan”. Nel 1935 nasce “L’Intrepido”, mentre nel 1932 l’editore Nerbini di Firenze pubblica il “Topolino” americano di Walt Disney (non quello italiano). Quando il regime fascista impose il divieto di pubblicazione di materiale straniero, per le case editrici fu il disastro, anche se in quel periodo vennero fuori grandi disegnatori del calibro di Pedrocchi, Molino e Scolari: non a caso il successo dei fumetti in quegli anni fu strepitoso. Vediamo le riviste di quel periodo:

Ø “La Rivista dei Giovani” – Nata nel 1920 per mano di Antono Cojazzi, fu la rivista di area cattolica più importante del periodo. Indirizzata ai giovani più grandi, s’impegnava a trattare non pochi problemi e temi pedagogici, come lo sport, e per questo finì per scontrarsi con il pensiero fascista.

Ø “Il Giornale dei Balilla” – Nato nel 1923, era un periodico di stampo totalitario e nazionalista.

Ø “Il Vittorioso” – Nato nel 1937, come settimanale, e stampato fino al 1966, fu un giornale sostenuto dall’Azione Cattolica Italiana, e rappresentò un punto di riferimento per i ragazzi sia per lo stile di lavoro redazionale, diretto da Domenico Volpi, sia perché fu il più grande tentativo di pubblicare fumetti di autori italiani: nelle sue fila passarono grandissimi disegnatori come Jacovitti.

Facendo un salto di qualche anno, negli anni ’70 nascono le cosidette “Fanzines” (fans magazine, riviste dei tifosi) a sostegno dei vari divi della musica, del calcio e del cinema. Tali riviste sono spesso in polemica con la stampa ufficiale sportiva, e non mancano di spingere alla violenza. Intanto il fumetto continua con la nascita dell’italianissimo Diabolik, con l’ingresso in scena dei Manga giapponesi, e con testate quali “Lancio Story” e “Scorpio”.

2) La Stampa Educativa

Sul versante educativo, occorre ricordare riviste quali “La Giostra”, nata nel 1947 per mano di Domenico Volpi, per adolescenti dai 12 ai 18 anni, o il “Messaggero dei Ragazzi”. Ma il vero dominio è delle riviste patinate che trattano immagini a colori e fanno proprie le tecniche di spettacolarizzazione della TV, del cinema e della musica. Distribuite in edicola e quindi di facile reperbilità, hanno una grafica curatissima e nel cellophane non manca mai un bel gadget pubblicitario: “Ciak”, “Top Girl”, “Cioè” e tante altre ancora. Si tratta di riviste destinate a giovanissimi e giovani, di puro stampo americano: il lettore medio, seppur giovane, viene visto come un consumatore e come tale viene trattato, veicolando l’offerta pubblicitaria di prodotti legati a quell’età. Le redazioni sono composte da giovani professionisti che hanno una spiccata capacità di entrare in contatto coi giovani e captarne gusti e tendenze.

3) Il Giornale a Scuola

L’area dove bambini, giovani e ragazzi sperimentano per la prima volta il giornalismo è spesso il mondo della scuola dove spesso non c’è solo l’invito a leggere il giornale, ma anche a scriverlo. Il giornale studentesco ha diversi aspetti, dall’educazione alla creatività dei linguaggi: non manca di nulla e a volte diventa un giornale vero e proprio, sull’esempio dei colleges americani, che in materia vantano un’esperienza secolare e difficilmente raggiungibile. Il giornale studentesco è una vera e propria palestra per futuri giornalisti. Un esempio è fornito da Walter Tobagi, che prima di diventare giornalista presso “Il Giorno” e il “Corriere della Sera”, era stato direttore della “Zanzara” del Liceo Parini di Milano: divenne famosissimo a quel tempo per essere stato al centro, nel 1966, di una contestazione innalzata a simbolo della rivoluzione sessantottina. Fu poi ucciso dalle Brigate Rosse.


Il Giornalismo On-Line (cap.17)

Tutti i media sono oggi più o meno multimediali, ed il giornalismo non è da meno: tutto il suo materiale va infatti on-line. La rete ha rivoluzionato il giornalismo, con la possibilità di trasmettere al di fuori dei parametri spazio-temporali nei quali è da sempre confinato il prodotto-giornale. Il primo giornale italiano a sfruttare Internet è stato “L’Unione Sarda”, seguito a ruota da “L’Unità” e “La Repubblica”, e via via tutti gli altri. Il giornalista deve cambiare modo di lavorare e di pensare, deve capire, anche il più tecnofobico, che Internet rappresenta il futuro del suo mondo e che lui non rappresenta più l’indispensabile intermediario fra il mondo esterno ed il pubblico. Oggi tutti credono di essere giornalisti: la frontiera fra giornalismo e non-giornalismo è stata abbattuta da Internet. Ma il fatto che uno lo creda, non vuol dire necessariamente che lo sia, anzi.

Il primo cambiamento che ha riguardato il giornalismo on-line è stato di carattere redazionale: un approccio alla notizia sempre più compatto ed essenziale, mentre gli approfondimenti sono stati “nascosti” e resi raggiungibili tramite gli ipertesti (ovvero i link). Il lavoro redazionale si muove dunque da un lato sul versante della cronaca immediata, e dall’altro sul versante della crescita degli approfondimenti, parte cruciale delle potenzialità offerte da internet. Ma Internet offre anche altre possibilità affascinanti ad un giornale on-line: identificazione/presentazione in video della redazione e del direttore, linee editoriali volte ad un’informazione precisa ed aggiornata in tempo reale, possibilità di collegarsi con gli stessi giornalisti e le fonti, magari per “chattare”. Purtroppo oggi la stragrande maggioranza dei siti di giornali on-line si presenta scarsamente interattiva e non garantisce continuità di comunicazione, anzi spesso è oberata dalla pubblicità rendendo la navigazione fastidiosa e difficile. La legge italiana considera il giornale on-line come un prodotto editoriale equiparato alla stampa cartacea: per questo motivo si richiede l’obbligo della registrazione della testata. Un altro esempio di giornalismo on-line (anche se non ufficialmente riconosciuto) è fornito dai blog (weblog), che pur non essendo dei giornali veri e propri, spesso si dimostrano più interessanti di molti pseudo giornali on-line: esistono anche blog visitabili di militari, docenti universitari e dirigenti d’azienda.

Il Fotogiornalismo (cap.18)

La fotografia è, tra le tecniche della comunicazione, la più popolare, soprattutto per l’apparente facilità di esecuzione. Fotografare è facile: “press the button we do the rest!” era lo sponsor della Kodak di fine Ottocento. Un luogo comune cui si deve la diffusione ma anche l’emarginazione di questo mezzo, combattuto fra l’essere considerato una forma d’arte o il suo esatto contrario. La fotografia è un prodotto che viene quotidianamente fruito, spesso incosciamente, attraverso il giornale, il libro, la pubblicità. Esso ha determinato un nuovo modo di leggere, ma anche di vedere.

1) Fotografia e Giornalismo

La fotografia è anche giornalismo, in quanto fornisce informazioni e notizie. Essa è capace di comunicare immediatamente ciò che rappresenta, senza giri di parole, creando inoltre l’illusione che la realtà “immortalata” non abbia subìto mediazioni e corrisponda alla realtà: non è così. Il fotografo non è un mero esecutore, ed i suoi soggetti corrispondono sempre a delle precise scelte che di fatto mediano il reale: questo perché la fotografia non ritrae la realtà, ma solo un frammento di essa. Proprio per il suo carattere di istantaneità, la vicenda della fotografia è da sempre collegata a quella dell’informazione, e quindi del giornalismo: la sua introduzione nei giornali ha permesso uno scambio fra informazione visiva e scritta, creando nuove soluzioni tecniche ed inedite capacità espressive.


Vediamo qualche cenno storico. La prima notizia relativa all’invenzione di Daguerre pubblicata in Italia fu sulla “Gazzetta Privilegiata di Milano” nel 1839: fu la necessità di riprodurre esattamente i tanti monumenti italiani che spinse la diffusione di tale tecnica, soprattutto nel settore delle riproduzioni d’arte. Per la fotografia sul giornale bisognerà aspettare ancora mezzo secolo, mentre in America la fotografia documentaria si era diffusa già agli inizi del ‘900. Fu quindi in America che nacque la tradizione del fotogiornalismo, oltre alla fotografia di paesaggio. In Italia sarà l’invasione della Libia il banco di prova dell’industria bellica nazionale, ed anche della fotografia: un banco di prova che sarà poi proseguito sulla scia della grande guerra. Non a caso, durante la prima guerra mondiale, la Kodak produce macchine fotografiche per riprese aeree e addestra i fotografi dell’esercito americano. Sarà quindi per merito delle grandi guerre la diffusione della fotografia istantanea ed il superamento a livello comunicativo della fotografia sulla scrittura.

È proprio la grande guerra che vede il superamento in Italia di tutto quel ciarpame fotografico riguardante i monumenti: una guerra che esalta i nazionalisti, e la fotografia con lei. La censura militare trasformerà la fotografia in uno strumento di propaganda scegliendo immagini di una certa guerra, e non della guerra nel suo complesso, di cui gli stessi giornali si facevano promotori grazie alla produzione sul campo dei propri corrispondenti. Quello successivo è un periodo di grande esaltazione della fotografia in America, soprattutto grazie al settimanale illustrato “LIFE”, anche grazie a tutti i fotografi italiani e stranieri emigrati lì a causa del fascismo e del nazismo. In Italia si subisce una grande arretratezza, a causa del controllo fascista sulla fotografia e dell’Istituto Luce. “LIFE” fu anche uno dei più accesi sostenitori dell’intervento americano alla seconda guerra mondiale e, ad ingresso avvenuto, inviò un gran numero di fotografi in tutta Europa per seguirne gli avvenimenti.

Dagli anni ’20 ai ’50, il fotogiornalismo internazionare conoscerà un grande periodo di fulgore, dovuto innanzitutto alle innovazioni tecniche quali la “Leica” (1924), una macchina fotografica di piccolo formato che diede un forte impulso al reportage e che rivoluzionò l’impaginazione delle riviste, grazie al suo caricatore a 36 pose. Come già detto, in Italia questa crescita fu frenata dal regime fascista, e la stessa Germania, fulcro del fotogiornalismo fino a quel momento, dovette inchinarsi al nazismo e cedere la palla agli USA e al Canada. Nell’Italia mussoliniana, la fotografia fu asservita alla costruzione dell’immagine del regime fascista e del suo Duce. Ma la stampa non era tutta in “camicia nera”: iniziarono a diffondersi i settimanali ed i mensili illustrati di moda, di cinema. Prende finalmente corpo l’idea di un giornale più moderno, anche in Italia. La riconquista delle libertà democratiche portò ad una grande effervescenza intellettuale ed editoriale, caratterizzata dal fotogiornalismo e da un nuovo modo di vedere la realtà attraverso le foto stesse: “Il Mondo” di Pannunzio, “L’Europeo” e “Epoca”, edito da Mondadori, ne furono dei chiari esempi.

Sulla scia della fotografia come strumento di informazione e di lotta, negli anni Sessanta in Italia si afferma un fotogiornalismo più colto, elegante, che trova il suo apice nel primo “Panorama”, costruito sul modello del “Times” americano. Negli anni ’60 e negli anni ’70, in Europa come in Italia, il fotogiornalismo fu in prima fila per documentare le rivolte studentesche, per non parlare della Guerra del Vietnam, l’ultima di cui ci siano state trasmesse tantissime immagini. Nel 1976 i fotografi ottengono l’accesso all’Ordine Nazionale dei Giornalisti. Ma questi sono anche gli anni della crisi del grande reportage tradizionale, a causa della concorrenza spietata della TV che trasmette in tempo reale, e questa crisi si rifletterà sul giornalismo periodico italiano. Crisi che verrà superata negli anni ’80.

Oggi il fotogiornalismo s’è evoluto tantissimo grazie alle nuove tecnologie: macchine sempre più piccole, pellicole sempre migliori, nitidezza ed instantaneità migliorate ed il passaggio al digitale. L’informazione fotografica è adesso scaricabile senza limiti da Internet. Si sviluppa una nuova figura di fotografo, editore di sé stesso, che sceglie il testo più adatto da affiancare alle immagini per valorizzarle meglio, cosa che su carta non era mai stato possibile.

SCHEDE

Ø I Media che nel Mondo, scrivono e parlano Italiano

In tutto nel mondo sono presenti 679, fra quotidiani, riviste e media, che parlano italiano, con il contributo di circa 1.500 collaboratori, 2/3 dei quali professionisti. I tre quotidiani sono “America Oggi” di New York (nuovo nome del mitico “Progresso italo-americano” di Generoso Pope), il “Corriere Canadese” di Toronto e il “Globo” di Victoria, in Australia. In testa a questa speciale classifica di media italiani all’estero l’Argentina, con 104 media: seguono gli USA, il Brasile e via via tutti gli altri.

Ø Federazione nazionale Editori e Giornali (FIEG)

Nata nel 1950, è l’organizzazione nazionale che raccoglie le aziende editrici di giornali quotidiani e periodici, insieme alle agenzie d’informazione quotidiana della stampa. Il suo scopo è perseguire la tutela della economicità delle aziende editrici, la difesa dei loro diritti e interessi morali e materiali, la diffusione dei mezzi di comunicazione, la salvaguardia della libertà di informazione. Nella gestione dei contratti collettivi di lavoro è l’interlocutrice che rappresenta i datori di lavoro nei confronti delle associazioni dei giornalisi, dei sindacati e dei dirigenti di aziende editrici di giornali.

Ø Federazione nazionale della Stampa Italiana (FNSI)

Raccoglie le associazioni regionali dei giornalisti italiani. Autonoma rispetto alle altre organizzazioni politiche, economiche e sindacali, fu fondata nel 1908 e rifondata nel 1944, dopo essere stata sciolta dal regime fascista. È il sindacato unitario dei giornalisti: i suoi compiti sono la tutela dei diritti e degli interessi morali e materiali della categoria dei giornalisti attraverso la stipula dei contratti collettivi di lavoro, la difesa della libertà di stampa e della pluralità degli organi d’informazione.

Ø Ordine dei Giornalisti (CNOG/ODG)

Ha il compito di tenere l’Albo Professionale, curando la disciplina degli iscritti nonché il rispetto della deontologia professionale. L’Ordine, per legge, deve garantire la formazione e l’idoneità di chi entra nella professione attraverso un esame di stato.

· Albo dei Giornalisti – Responsabilità dell’Ordine, è composto da due elenchi principali: i professionisti, ovvero coloro che esercitano in modo esclusivo e continuativo la professione, ed i pubblicisti, ovvero coloro che svolgono in maniera non occasionale e remunerata la professione, ma non in esclusiva, anche se esercitano altre professioni o impieghi. Completano l’albo gli elenchi dei giornalisti stranieri che lavorano nel nostro paese, e dei direttori di periodici specializzati, soprattutto tecnico-scientifici.


Ø Unione Cattolica Internazionale della Stampa (UCIP)

Fondata nel 1927 a Bruxelles, costituisce un collegamento stabile tra le associazioni di giornalisti cattolici presenti nei diversi paesi. Difende gli interessi materiali e spirituali dei suoi membri e della professione del giornalista, inoltre raccoglie le federazioni di giornalisti di quotidiani e periodici, delle agenzie di stampa, dei docenti di giornalismo, della stampa ecclesiastica e dell’editoria.

Ø Unione Cattolica della Stampa Italiana (UCSI)

Associazione profesionale e di ispirazione ecclesiale, cui aderiscono operatori della comunicazione sociale. Fondata nel 1959, si prefigge la formazione spirituale, culturale e professionale dei soci, oltre al rispetto delle norme comportamentali che tutelano i diritti umani e che favoriscono la partecipazione dei propri associati a organismi professionali ed ecclesiali. È articolata territorialmente in Associazioni regionali, e dal 1965 organizza convegni di studio che seguono lo sviluppo della coscienza dell’informazione nel nostro paese.

Carta di Treviso (5 Ottobre 1990)

Consiglio nazionale Ordine Giornalisti (CNOG)

Federazione nazionale Stampa Italiana (FNSI)

Telefono Azzurro

È una Carta firmata da FNSI, Ordine dei Giornalisti e Telefono Azzurro. Il suo protocollo si sviluppa nell’idea di rispettare i principi ed i valori su cui si radica la nostra Carta Costituzionale, in particolare:

  • Il riconoscimento dell’importanza dell’uomo, con i suoi inviolabili diritti che devono essere non solo garantiti, ma anche sviluppati, aiutando ogni essere umano a superare le condizioni negative che impediscono la corretta crescita della sua personalità.

  • L’impegno di tutta la Repubblica a proteggere e salvaguardare l’infanzia e la gioventù attraverso il rispetto del diritto all’educazione e di un’adeguata crescita umana.

  • La cura dei bambini, che devono crescere in un’atmosfera di comprensione, e che necessitano particolari cure ed assistenza.

  • Tutte le azioni riguardanti i bambini devono considerare di primaria importanza il maggior interesse del bambino, e tutti gli altri interessi devono essere posti in secondo piano.

  • La privacy del bambino dovrà essere rispettata a tutti i costi.

  • Lo Stato deve promuovere determinati codici di condotta sani e morali, affinchè il bambino venga protetto da materiale ed informazioni dannosi al suo benessere.

  • Lo Stato deve prendere appropriate misure legislative, amministrative, sociali ed educative per difendere il bambino da qualsiasi forma di violenza, abuso fisico e mentale, sfruttamento.


FNSI e Ordine dei giornalisti dichiarano di essere consapevoli che il fondamentale diritto all’informazione può trovare dei limiti quando venga in conflitto coi diritti fondamentali di persone meritevoli di una tutela privilegiata, come i bambini. Il diritto di cronaca dev’essere bilanciato con il diritto del minore, se coinvolto in un fatto di cronaca: in particolare, vige i divieto di pubblicare e divulgare notizie o immagini in grado di identificare il minore coinvolto nel reato.

Sulla base di queste premesse, FNSI e Ordine s’impegnano a sviluppare un’informazione sui minori più funzionale alla crescita di una cultura dell’infanzia e dell’adolescenza nel nostro paese. Sulla base di quanto detto viene sottoscritto, in collaborazione con il Telefono Azzurro, il seguente protocollo:

PROTOCOLLO D’INTESA

a) Il rispetto del minore, sia come soggetto agente che come vittima di un reato, richiede il mantenimento dell’anonimato, che implica la rinuncia a pubblicare elementi che anche indirettamente possano portare alla sua identificazione.

b) La tutela del minore si estende anche a fatti che non costituiscono reato (suicidio, adozioni ed affidamenti, divorzi), in modo che sia difesa la personalità del minore inteso come essere in divenire, dotato di un processo di maturazione che potrebbe venire seriamente compromesso da spettacolarizzazioni dei media.

c) La tutela del minore dovrà difenderlo anche nei casi di possibili strumentalizzazioni da parte degli adulti.

d) Per i casi in cui manchi una specifica documentazione giuridica, i media dovranno farsi carico di giudicare se quanto vanno proponendo sia davvero nell’interesse del minore.

e) Anche se per interesse del minore si renda necessario pubblicare i suoi dati personali, ciò dovrà accadere col consenso dei genitori e del giudice competente.

Questo protocollo inoltre intende difendere gli interessi dei minori nella loro totalità, non solo quelli coinvolti in casi di particolare clamore, con lo scopo di migliorare la condizione del minore e di aiutarlo a superare le sue difficoltà nella vita quotidiana. Per questo FNSI e Ordine s’impegnano a:

  • Prevedere nei testi di preparazione all’esame professionale un apposito capitolo dedicato all’infanzia.

  • Invitare le Istituzioni ed i Consigli regionali ad organizzare seminari di studio sulla rappresentazione dei soggetti deboli, come i minori.

  • Attivare un filo diretto e collaborare con le varie professionalità impegnate nella tutela e nello sviluppo del bambino.

  • Collaborare con l’Ufficio del Garante, nel quadro delle verifiche dei contenuti dei media.

  • Prevedere una normativa specifica, insieme alla Federazione Italiana Editori, atta a tutelare l’interesse dell’infanzia nel nostro paese.

  • Richiamare i responsabili delle reti televisive ad una maggiore attenzione ai diritti del minore, anche nelle trasmissioni d’intrattenimento e pubblicitarie.

Inoltre FNSI, Ordine e Telefono Azzurro stabiliscono di costituire un Comitato nazionale permanente di Garanti, che possa fissare indirizzi su precise problematiche, oppure organizzare oppotune verifiche e sottoporre agli organi di autodisciplina delle categorie eventuali violazioni della Carta e della deontologia professionale. Tali casi saranno esaminati su richiesta degli iscritti, su segnalazione dei lettori, o di propria iniziativa.

COMITATO NAZIONALE DI GARANTI

Per l’informazione sui minori e per l’attuazione della Carta di Treviso

Il Comitato ha il compito di favorire la crescita dei processi informativi sull’infanzia e sui minori, nel rispetto di ciò che è stato stabilito dalla Carta di Treviso. I suoi compiti sono la promozione di attività di studio e di ricerca su tali materie, cioè sull’informazione legata all’infanzia, e la valutazione/verifica dei messaggi prodotti dai media, nell’ottica del rispetto della deontologia professionale e dell’etica. A tale fine il Comitato esamina i casi su segnalazione, o di propria iniziativa, dopodichè li trasmette all’Ufficio di Presidenza, che prenderà le decisioni definitive.

  • Membri Permanenti del Comitato:

    • Presidente e Segretario della FNSI
    • Presidente e Segretario del CNOG
    • Presidente del Telefono Azzurro
    • Presidente della FIEG
    • Presidente della RAI

    • Rappresentante del Garante della Radiodiffusione e Editoria
    • Altri rappresentanti

Possono inoltre far parte del comitato 5 esperti che abbiano particolare competenza sui problemi dell’informazione e della condizione minorile.

UFFICIO DI PRESIDENZA

L’Ufficio di Presidenza esamina i casi, su segnalazione del Comitato di Garanti, o in casi eccezionali di propria iniziativa. Comunica i responsi agli organi di autodisciplina delle categorie competenti. La Presidenza è assunta a turno, per un biennio, dalla FNSI e dal CNOG. Il Telefono Azzurro regge invece la Vicepresidenza in permanenza, e si occupa più che altro delle sovrintendenza delle attività di ricerca. L’Ufficio di Presidenza nomina il Direttore dell’Osservatorio sui Minori.

OSSERVATORIO SUI MINORI

Il Direttore è anche coordinatore dei Gruppi di lavoro e ricerca che il Comitato potrà istituire per singole e specifiche questioni.


Carta di Treviso – Vademecum ‘95

I giornalisti italiani, in collaborazione con Telefono Azzurro, a 5 anni dall’approvazione della Carta ne confermano il valore e ne ribadiscono i principi di salvaguardia dei bambini e degli adolescenti, anche in funzione dello sviluppo della conoscenza dei problemi minorili, soprattutto viste le ripetute violazioni della Carta in questi 5 anni. Intendono così sottolineare alcune regole:

  1. Garantire al minore l’anonimato, per non influire negativamente sulla sua crescita.
  2. Garantire l’anonimato anche in casi più “leggeri”, come l’adozione.
  3. Il bambino non va intervistato, ospitato in TV o utilizzato nelle pubblicità, se non dietro consenso dei genitori, e solo in casi che non possano ledere la sua crescita.
  4. Non enfatizzare particolari di cronaca che possano provocare suggestione o emulazione.
  5. Evitare il sensazionalismo di casi riguardanti bambini feriti o disabili.

Le parti firmatarie impegnano inoltre il Comitato Nazionale di Garanzia a:

a) Diffondere la normativa esistente.

b) Pubblicizzare i propri provvedimenti mediante un bollettino.

c) Attuare l’Osservatorio previsto dalla Carta di Treviso.

d) Organizzare una conferenza annuale per verificare l’operato dell’Osservatorio.

e) Coinvolgere in modo diretto i media nell’applicazione della Carta di Treviso.

f) Sollecitare la creazione di uffici stampa presso i Tribunali dei minori.

g) Creare spazi informativi per parlare dei minori non solo nei casi drammatici.

Inoltre impegnano il CNOG a coinvolgere le scuole dei giornalisti come centri di monitoraggio.

Patto sui Diritti e Doveri dei Giornalisti

Di “La Repubblica” (5 dicembre 1990)

Si tratta di un patto d’acciaio stretto fra l’Editoriale di Repubblica e il Comitato di Redazione (CDR), in onore del 15esimo anno di età della testata. Tale patto intende richiamarsi al manifesto di fondazione del giornale e alla sua linea politico-editoriale, garantendone la continuità e costituendone il naturale aggiornamento. Questa linea, fin dall’inizio aperta alle idee e alle sollecitazioni della sinistra democratica, ha fatto sì che Repubblica si schierasse contro le degenerazioni del sistema politico ed economico, contro i tentativi di prevaricazione di qualsiasi potere, contro le violazioni della libertà; schierata a favore di una corretta gestione dello Stato e di una maggiore giustizia sociale e fiscale, la difesa dei diritti civili ed il rispetto dei diritti dei soggetti deboli.

Per mantenere questo impegno, Repubblica dovrà continuare a garantire la trasparenza dell’informazione, la verifica delle fonti, ed il lavoro giornalistico incentrato sul lettore: una trasparenza necessaria in un’epoca caratterizzata da una sovrabbondanza di informazioni proposte direttamente all’utente tramite i mass media e Internet. Nell’interesse congiunto del giornale, dell’editore e della redazione, cui viene riconosciuto un ruolo fondamentale nella testata, i firmatari s’impegnano a respingere ogni interferenza di carattere politico, economico ed ideologico. E ribadiscono l’impegno a garantire a tutti i membri della redazione libertà di espressione (nel dovuto rispetto degli interessi della testata e dell’azienda) e pari opportunità di carriera. Andiamo ad analizzarne i punti cardine:


NOMINA DEL DIRETTORE

La nomina del Direttore sarà comunicata al Comitato di Redazione almeno 48 ore prima dell’assunzione della carica da parte del designato. Le facoltà del Direttore saranno determinate da accordi fra l’Editore ed il Direttore stesso: gli accordi, in ogni caso, non potranno entrare in contrasto con le norme o con gli accordi aziendali già esistenti.

Il Direttore, come primo atto del suo insediamento, illustra tali accordi (stipulati con l’Editore) all’Assemblea dei redattori, nonché i principi di massima cui intende ispirarsi in merito alla sua linea politico-editoriale, e con esso il suo programma editoriale (entro e non oltre 60 giorni dal suo insediamento). In base a ciò l’Assemblea esprime un parere e lo comunica al Direttore.

CLAUSOLA DI COSCIENZA

In caso di cambio della linea politico-editoriale

Nel caso di passaggio di proprietà dell’azienda, i diritti acquisiti dal giornalista vengono riconosciuti anche dal nuovo proprietario: per questo motivo, il passaggio di proprietà non determina di per sé il diritto del giornalista di invocare la clausola di coscienza. Tale diritto potrà essere esercitato solo nel caso in cui, successivamente al passaggio di proprietà, si verifichi un cambiamento sostanziale dell’indirizzo politico-editoriale, con riferimento anche a questo Patto. In questo caso, ed in casi in cui questo cambiamento di indirizzo sia conseguenza di un cambio di direzione, o voluto dallo stesso direttore in carica, il redattore può invocare la clausola di coscienza, dimettendosi senza preavviso e mantenendo il diritto a percepire l’indennità prevista dalla legge. Il CDR potrà inoltre esporre le proprie osservazioni in merito alle posizioni assunte dal Direttore, o dalla proprietà, contrastanti col presente Patto.

PARTECIPAZIONE AL CAPITALE

La Direzione Aziendale, successivamente all’ingresso in Borsa delle quote di “La Repubblica”, s’impegna a riservare una quota delle nuove emissioni di azioni ai giornalisti della testata.

POTERI DEL CDR

Compito del CDR è verificare l’applicazione ed il rispetto dei princìpi e delle regole presenti nel Patto. Anche in caso di nuove iniziative editoriali, o soppressione di iniziative già avviate, o di chiusura di redazioni, si dovrà informare con largo anticipo di CDR, salvo casi di motivata urgenza. Stesso discorso per revoche/nomine di capi-redattori e trasferimenti di sede. Il Direttore, in periodici incontri, informerà il CDR sull’andamento della testata, sui dati di vendita e sulla diffusione in rapporto con la concorrenza.

TITOLARITA’ DELL’INFORMAZIONE

In caso di tagli, integrazioni o modifiche sostanziali di articoli e servizi, tali da alterare il significato originale, l’azienda dovrà garantire la conservazione della copia/versione originale per un periodo minimo di 3 giorni successivi alla data di pubblicazione. Inoltre l’utilizzazione di articoli al di fuori di Repubblica è permesso solo previa autorizzazione dell’autore (che dovrà essere indicato come tale) e rispettando il contenuto del servizio.


GARANTE DEL LETTORE

Al fine di tutelare gli interessi ed i diritti del lettore, le parti stabiliscono di creare la figura di un Garante del Lettore, al quale si estenda la tutela sindacale prevista per i membri del CDR. La nomina del Garante avverrà per mano del Direttore, che deciderà dopo aver ascoltato i consigli del CDR, scegliendo tale figura fra i giornalisti di Repubblica: in ogni caso, il Garante non potrà essere scelto al di fuori della testata, e non dovrà avere rapporti con la concorrenza.

  • Il Garante resta in carica 1 anno, e non è rinnovabile.
  • Il Garante resta in carica anche se cambia la Direzione.
  • In caso di dimissioni, ne verrà eletto uno nuovo.

Al Garante possono fare appello i lettori che ritenessero violato il rispetto della sfera privata delle persone, della presunzione di innocenza, o a causa di discriminazioni dovute a razza, colore, religione. Il Garante trasmette al Direttore le segnalazioni e le sue raccomandazioni, e se lo ritiene necessario informa anche il CDR. In ogni caso il Garante si asterrà dall’emettere giudizi sul valore e sulla professionalità dei giornalisti.

ESCLUSIVITA’ E INCOMPATIBILITA’

Nel caso in cui un giornalista intenda collaborare con altre testate, la sua richiesta sarà posta al vaglio ed un’eventuale mancata autorizzazione sarà espressa con motivazioni scritte, che devono rientrare fra le seguenti:

  • Contenuto professionale dell’impegno richiesto dalla collaborazione.
  • Compatibilità con l’immagine di Repubblica.
  • Interessi del quotidiano.
  • Obblighi contrattuali del giornalista.

In ogni caso, i giornalisti di Repubblica si impegnano a non svolgere attività che possano influire sull’obiettività e la completezza dell’informazione (come promozione e relazioni pubbliche). S’impegnano inoltre a non accettare compensi o donazioni da parte di persone, enti, società, istituzioni, partiti di cui debbano occuparsi nell’ambito della propria attività, e non trarre profitto personale da informazioni acquisite per motivi professionali (come l’andamento del mercato). Nel caso in cui un giornalista venisse incaricato di occuparsi di una sfera che coincide con interessi politici ed economici di natura personale, è tenuto a comunicarlo al Direttore.


Carta dei Doveri del Giornalista (1993)

Consiglio nazionale Ordine Giornalisti (CNOG)

Federazione nazionale Stampa Italiana (FNSI)

Il lavoro del giornalista si ispira ai principi della libertà d’informazione e di opinione, sanciti dalla Costituzione Italiana nel 1963. Tale libertà d’informazione e di critica deve però avvenire in osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui e nel rispetto della verità sostanziale dei fatti, in lealtà e in buona fede. Il giornalista è obbligato a rettificare le notizie che risultino inesatte, riparare eventuali errori e concedere sempre diritto di replica ai diretti interessati. Inoltre egli è obbligato alla massima trasparenza delle fonti, tranne nel caso in cui tali fonti vogliano rimanere anonime. Il giornalista deve lavorare animato da spirito di collaborazione coi colleghi. Il rapporto di fiducia fra testata e lettore è la base del lavoro del giornalista, ed è per promuovere e rendere più saldo tale rapporto che i giornalisti italiani sottoscrivono tale carta dei doveri. Eccone i principi:

Ø Il giornalista deve rispettare, coltivare e difendere il diritto all’informazione di tutti i cittadini, per questo diffonde notizie di pubblico interesse, nel rispetto della verità e con la massima cura possibile.

Ø Il giornalista diffonde le notizie di pubblico interesse nonostante gli ostacoli che possono frapporsi, per garantire al cittadino la piena conoscenza ed il controllo degli atti pubblici. La responsabilità del giornalista nei confronti dei cittadini prevale su tutte le altre, istituzioni ed editori compresi.

Ø Il giornalista ha il dovere fondamentale di rispettare la persona, la sua dignità e la sua privacy, e non discrimina mai nessuno per razza, colore, religione o altro.

Ø Il giornalista corregge tempestivamente gli errori o le inesattezze, in conformità con il dovere di rettifica, e favorisce la possibilità di replica.

Ø Il giornalista è tenuto a rispettare il diritto alla presunzione d’innocenza, perché nessuno è colpevole fino a quando non lo stabilisce un processo.

Ø Il giornalista è tenuto ad osservare il segreto professionale, nel caso in cui sia richiesto dalle sue fonti. In caso contrario, è tenuto alla massima trasparenza delle fonti stesse.

Ø Il giornalista non può aderire ad associazioni segrete.

Ø Il giornalista non può accettare privilegi, favori, incarichi che possano condizionare la sua autonomia o ledere la sua credibilità professionale.

Ø Il giornalista non deve omettere fatti o dettagli essenziali per la completa ricostruzione dell’avvenimento. Inoltre titoli, sommari, fotografie e didascalie non devono forzare né travisare il contenuto degli articoli.

Ø Non deve pubblicare fotografie raccapriccianti, né soffermarsi sui dettagli di violenza e brutalità, a meno che non vi sia un interesse sociale.

Ø Commento ed opinione devono essere assolutamente liberi da qualsiasi vincolo, che non sia quello posto dalla legge per l’offesa e la diffamazione delle persone.


DOVERI DEL GIORNALISTA

  • Responsabilità del Giornalista

Il Giornalista è responsabile del proprio lavoro verso i cittadini e deve favorire il loro dialogo con gli organi d’informazione, ed accetta indicazioni e direttive solo dalle gerarchie redazionali, tranne nel caso in cui esse siano contrarie alla legge. Non può discriminare nessuno per la razza, colore, religione, sesso, politica ed handicap: tale atteggiamento ingiurioso è concesso solo quando sia di rilevante interesse pubblico, ma non deve mai essere discriminatorio. Il giornalista deve rispettare il diritto alla privacy di ogni cittadino, e non pubblicare notizie riguardanti le sue sfere private se non nel caso di rilevante interesse pubblico, ed in ogni caso (quando lo fa) deve sempre qualificarsi come giornalista: stesso discorso vale per i nomi e le situazioni delle persone vicine a quelle coinvolte in casi di cronaca. I nomi, in particolare, insieme a tutti quegli elementi che possano portare all’identificazione di qualcuno, non devono mai essere pubblicati nel caso in cui ciò metta a rischio l’incolumità delle persone. I nomi delle vittime di violenze sessuali non vanno mai pubblicati, tranne nel caso in cui non sia richiesto dalla vittima stessa. Il giornalista deve poi prestare molta attenzione nel rendere pubblici o meno i nomi dei protagonisti delle autorità giudiziarie (polizia, carabinieri, ecc), che potrebbero correre rischi molto seri, insieme alle proprie famiglie.

  • Rettifica e Replica

Il Giornalista è tenuto alla rettifica delle notizie inesatte o ritenute ingiustamente lesive. Anche in assenza di una specifica richiesta, il giornalista è tenuto alla rettifica di propria iniziativa qualora venisse a conoscenza della loro inesattezza. Il giornalista non deve dare notizia di accuse che possano danneggiare la reputazione e la dignità delle persone, senza garantire il giusto diritto di replica: nel caso in cui sia impossibile una replica, è tenuto ad informare il pubblico.

  • Presunzione d’Innocenza

Il Giornalista deve sempre ricordare che ogni persona accusata di un reato è innocente fino alla condanna definitiva: di conseguenza non deve costruire le notizie in modo da presentare come colpevoli le persone che non siano ancora state giudicate tali in un processo. Inoltre non deve pubblicare immagini di persone non ancora processate e ritenute colpevoli: in caso di assoluzione, il giornalista deve dare grande risalto ad essa. Nel caso di persone coinvolte in reati minori o condannate a pene lievissime, il giornalista deve utilizzare la massima cautela nel diffondere informazioni che potrebbero far risalire all’identità degli interessati.

  • Le Fonti

Il Giornalista deve sempre verificare le informazioni ottenute dalle sue fonti, per accertarne l’attendibilità e salvaguardare sempre la verità sostanziale dei fatti. Nel caso in cui tali fonti chiedano di rimanere riservate, il giornalista è tenuto al segreto professionale; in caso contrario, deve rispettare il principio di massima trasparenza delle fonti, indicandole al lettore con la massima precisione possibile. L’obbligo della citazione della fonte vale anche quando si usa materiale delle agenzie di stampa o di altri mezzi d’informazione, a meno che la notizia non venga corretta e ampliata con mezzi propri, o se ne modifichi il senso del contenuto. In nessun caso il giornalista accetta condizionamenti dalle fonti per la pubblicazione/soppressione di un’informazione.

  • Informazione e Pubblicità

I cittadini hanno il diritto di ricevere un’informazione corretta, sempre distinta dal messaggio pubblicitario. Tali messaggi devono essere sempre e comunque distinguibili dai testi giornalistici attraverso chiare indicazioni. Il giornalista deve sempre rendere riconoscibile la pubblicità e deve porre il pubblico in grado di distinguerlo dalle notizie.

  • Incompatibilità

Il giornalista non può sfruttare a proprio vantaggio o di terzi le informazioni economiche o finanziarie di cui sia venuto a conoscenza, e non può turbare l’andamento del mercato diffondendo fatti o circonstanze utili al proprio tornaconto. Non può quindi scrivere articoli relativi ad azioni sul cui andamento borsistico abbia un interesse finanziario, né può vendere/acquistare azioni delle quali si stia occupando professionalmente. Il giornalista rifiuta pagamenti, rimborsi spese, regali, vacanze, trasferte, viaggi, facilitazioni da enti privati e pubblici, che possano condizionare il suo lavoro e ledere la sua credibilità professionale. Non può assumere incarichi in contrasto con l’esercizio autonomo della professione, né può prestare il nome ad iniziative pubblicitarie in contrasto con la tutela dell’autonomia personale. Sono invece consentite, a titolo gratuito, prestazioni pubblicitarie volte a fini sociali, umanitari, culturali, religiosi, artistici, sindacali o comunque prive di carattere speculativo.

  • Minori e Soggetti Deboli

Il giornalista è tenuto a rispettare i principi sanciti dalla Convenzione ONU del 1989 sui diritti del bambino, e le regole sotoscritte con la Carta di Treviso per la tutela della personalità del minore. In particolare:

a) Non pubblica nome, immagini o informazioni che potrebbero far risalire all’identità del minore coinvolto in casi di cronaca.

b) Evita possibili strumentalizzazioni da parte degli adulti, portati a privilegiare i loro interessi e non quelli del bambino.

c) Valuta sempre e comunque se la diffusione della notizia relativa al minore giovi effettivamente all’interesse del minore stesso.

Inoltre il giornalista tutela i diritti dei malati, evitando la pubblicazione di notizie che potrebbero portare ad un sensazionalismo in grado di suscitare timori o speranze infondate:

a) Non diffonde notizie sanitarie che non possano essere controllate con autorevoli fonti scientifiche.

b) Non cita nomi di farmaci o prodotti per non favorirne il consumo.

c) Fornisce tempestivamente il nome di farmaci e prodotti farmaceutici ritirati o sospesi perché nocivi alla salute.


Comitato per la Correttezza e la Lealtà dell’Informazione (1993)

Consiglio nazionale Ordine Giornalisti (CNOG)

Federazione nazionale Stampa Italiana (FNSI)

CNOG e FNSI, vista la Carta dei doveri del giornalista, deliberano la creazione di un Comitato di Garanzia: il “Comitato Nazionale per la Correttezza e la Lealtà dell’Informazione” (Roma):

DELIBERA:

  • Composizione del Comitato

Il Comitato di Garanzia è composto da 5 membri: 2 giornalisti, 1 magistrato, 1 esponente del “Consiglio degli Utenti”, 1 esponente del “Comitato per la difesa dei minori e dei soggetti deboli”. Essi sono eletti dal presidente del CNOG d’intesa col presidente della FNSI. Nessun componente del comitato può far parte degli organismi rappresentativi della categoria giornalistica.

  • Funzioni e Funzionamento del Comitato

Il Comitato ha l’unica funzione di verificare il rispetto della Carta dei Doveri. Chiunque ritenga che la Carta sia stata violata, può rivolgersi al Comitato presentando l’articolo o il servizio presunto di averla violata, fornendo a questo fine precise indicazioni. I membri del Comitato, nel giudicare i casi, sono tenuti ad osservare il massimo riservo. Le valutazioni del Comitato sono inappellabili. Il Comitato resta in carica un anno, ed i suoi componenti possono essere riconfermati.

REGOLAMENTO:

  • Istanze al Comitato

Chiunque ritenga di aver subito un torto da articoli o servizi, può richiedere l’intervento del Comitato. L’istanza dev’essere presentata per iscritto, contenere l’indicazione dell’articolo, l’esposizione chiara delle ragioni per cui si fa istanza e la relativa documentazione. Ricevuta l’istanza, il Comitato viene convocato dal Presidente.

  • Funzioni del Comitato

Il Comitato, esaminata la documentazione e sentito a discolpa il giornalista, accerta se vi sia o meno violazione della Carta dei Doveri. Se la denuncia risulta infondata, la pratica verrà archiviata, e il Comitato ne darà comunicazione all’istante. In caso di violazione, il Comitato comunica al Consiglio regionale dell’Ordine dei giornalisti il comportamento scorretto, per l’eventuale apertura di un procedimento disciplinare. Inoltre comunica la propria decisione al giornalista e al direttore responsabile della pubblicazione, affinchè venga comunicata dal giornale: qualora questo non avvenga, il Comitato provvederà a pubblicarla personalmente e segnalerà il comportamento omissivo del direttore al CNOG.


  • Informazione e Minori

FNSI e CNOG sottolineano ancora una volta il contenuto della Carta di Treviso, insieme ai doveri del giornalista in ambito di informazione e minori. Inoltre incita lo stesso Governo a prendere a cuore una corretta crescita del minore, così come sostiene per legge la Convenzione ONU del 1989 sui diritti del bambino, in particolare:

a) Il bambino deve crescere in un’atmosfera di comprensione.

b) L’interesse del bambino, in tutte le azioni, dev’essere anteposto a qualsiasi interesse.

c) La privacy del bambino è sacrosanta e inviolabile.

d) Lo Stato deve incoraggiare una condotta appropriata, proteggendo il minore.

e) Lo Stato deve prendere appropriate misure legislative per difendere il minore.

FNSI e CNOG, invece, s’impegnano a:

a) Diffondere una cultura professionale rispettosa del minore.

b) Dedicare un capitolo sull’infanzia nei testi di preparazione all’esame di stato.

c) Proporre seminari di studio sulla rappresentazione dei soggetti deboli.

d) Collaborare con le varie professionalità impegnate nella tutela dei minori.

e) Coinvolgere i soggetti istituzionali chiamati alla tutela del minore.

f) Collaborare con l’Ufficio del Garante per la radiodiffusione e l’editoria.

g) Prevedere nel contratto giornalistico l’impegno a tutelare l’infanzia.

h) Sensibilizzare le televisioni.

i) Costituire in collaborazione col Telefono Azzurro un Comitato permanente di Garanti (vedere: Carta di Treviso).

UFFICIO DI PRESIDENZA

La presidenza del Comitato per la correttezza e la lealtà dell’informazione vede l’alternarsi, ogni biennio, della CNOG e della FNSI. Il Telefono Azzurro regge in permanenza il ruolo di vice-presidente. L’Ufficio di Presidenza nomina il Direttore dell’Osservatorio sui Minori (vedere: Carta di Treviso).

Pluralismo e Imparzialità dell’Informazione (2002)

Messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica,

Carlo Azeglio Ciampi (24 luglio 2002)

Si tratta di una lettera scritta dal Presidente della Repubblica Ciampi ai parlamentari italiani, all’interno della quale il Presidente cerca di sensibilizzare il problema della garanzia del pluralismo e dell’imparzialità dell’informazione, strumento essenziale per la realizzazione di una democrazia compiuta.

Ciampi innanzitutto sottolinea come le leggi contro le concentrazioni in materia di stampa siano state rispettate, e questo è fondamentale in quanto l’informazione deve restare imparziale, non deve essere monopolizzata da grandi imprese in quanto questo potrebbe ledere la presenza di opinioni plurime e diverse fra loro, sia per quanto riguarda la politica, la cultura, la religione, il sociale, nel rispetto della libertà e dei diritti garantiti dalla Costituzione. Bisogna continuare ad assicurare il pluralismo delle voci, espressione della libera manifestazione del pensiero, garantendo in tal modo il diritto del cittadino all’informazione, e proteggendo l’informazione stessa dalle posizioni dominanti, considerate un’ostacolo al pluralismo.

Inoltre pluralismo ed imparzialità dell’informazione, scrive Ciampi, hanno recentemente trovato una collocazione ufficiale in quattro Direttive del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’UE, che dovranno essere recepite ed attuate da tutti i paesi membri entro il luglio del 2003 (“Direttiva Quadro”). La Direttiva Quadro sostiene, fra le altre cose: libertà d’espressione e d’opinione, pluralismo dei mezzi d’informazione, imparzialità, difesa della diversità culturale e linguistica, protezione dei consumatori e tutela dei minori.

Ciampi si dimostra al tempo stesso fiducioso e preoccupato, per quello che riguarda il processo tecnologico che sta avanzando anche in Italia in quegli anni, soprattutto per quanto riguarda l’emittenza televisiva. L’irradiazione delle trasmissioni TV in digitale, obbligatoria dal 2001, allargherà il mercato e costituirà un freno alle posizioni dominanti. Ma pluralismo e imparizialità dell’informazione non potranno certo svilupparsi automaticamente con la tecnologia: saranno infatti necessarie nuove politiche pubbliche per guidare questo imponente processo di trasformazione. Un problema comune a tutti i paesi europei, non solo all’Italia.

Nel redigere tale legge, bisognerà porre particolare attenzione alla radio ed alla TV, soprattutto per quanto riguarda la tutela dei minori, troppo spesso non tenuta in considerazione dalle emittenti televisive. In questa legge, inoltre, dovranno essere sensibilizzate le Regioni, il cui compito (stabilito dalla Costituzione) è sviluppare una legislazione che difenda il pluralismo culturale e dell’informazione. Questo perché la cultura è il fulcro della nostra identità nazionale.

Inoltre, sostiene Ciampi, pluralismo ed imparzialità dell’informazione sono fattori indispensabili per il bilanciamento dei diritti della maggioranza e dell’opposizione, per questo motivo non può esistere democrazia senza il pluralismo delle voci. A tal scopo, la vigilanza del Parlamento potrebbe estendersi anche all’intero circuito mediatico, allo scopo di rendere uniforme ed omogeneo il principio della “Par Condicio”. L’opinione pubblica dev’essere in grado di sviluppare una critica consapevole e plurima.

In virtù delle considerazioni fin qui svolte, emergono alcuni obiettivi essenziali:

a) Una nuova normativa che consideri le innovazioni tecnologiche in continua evoluzione.

b) Attuazione delle direttive comunitarie entro il 2003.

c) Garantire, attraverso pluralità ed imparzialità dell’informazione, i diritti di opposizione e minoranze.

Per concludere, Ciampi sostiene che sta a loro, politici, provvedere per il presente e preparare la società al futuro, sviluppando un sistema di valori e di regole che salvaguardi e sostenga la vita e l’azione delle nuove generazioni. Il processo tecnologico muta il contesto nel quale si svolge la vita sociale, culturale e politica dei popoli, offre straordinarie possibilità di crescita individuale e collettiva, ma dev’essere un processo sempre accompagnato dall’azione pubblica, in un’appropriata cornice normativa, per difendere non solo lo sviluppo materiale di una nazione, ma anche quello morale. Questa è una sfida che coinvolge tutte le istituzioni, che devono tradurre l’innovazione in opportunità di formazione per i cittadini. Non c’è democrazia senza pluralismo ed imparzialità dell’informazione: Ciampi è fiducioso che l’azione del Parlamento saprà convergere verso la realizzazione di questo principio.

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