lunedì 27 agosto 2012

Economia dei media - domande esami passati


Troverete di seguito alcune domande presenti nei passati esami di Economia dei Media. Preparatevi anche a commentare tabelle con i dati.
Non impiegate più di un’ora a rispondere a tre domande, non consultate libri e appunti. In questo modo simulerete una situazione simile a quella che troverete in classe al momento dell’esame.

1) Che cosa si intende con “modello fordista” di cinema?
 Lo Studio System struttura dunque l’industria cinematografica sulla base del modello economico “fordista”. Le caratteristiche del cinema fordista, sinteticamente sono: a) integrazione verticale dei comparti della filiera cinematografica, al fine di ridurre i rischi  e accrescere la controllabilità in un settore altrimenti imprevedibile; b) presenza di elevati costi fissi (come ad esempio il compenso da attribuire agli attori i quali si legavano, con contratti a lungo termine, alle case di produzione, risultando in questo modo vincolati dallo stesso a lavorare esclusivamente per quell’impresa di produzione cinematografica a patto di ricevere uno stipendio fisso dall’impresa); c) approfondita divisione del lavoro (ogni soggetto operante all’interno di un’impresa cinematografica ha un proprio compito specializzato); d) forti immobilizzazioni (presenza degli studios). Questo modello è quello usato durante l'avvento dello Studio system quindi dal 1916 al 1926 e durante lo sviluppo dello stesso (1927-1948) periodo chiamato di transizione verso lo Studio System.
Con Studio System si intende così un metodo di organizzazione del lavoro, nel caso dell’industria cinematografica di ideazione, produzione e realizzazione di un film, teso alla massimizzazione dei profitti attraverso un sfruttamento ottimale delle risorse. Un sistema basato sulla suddivisione, rigida e regolata, del lavoro e sulla subordinazione totale di tutte le componenti professionali, dagli attori agli sceneggiatori, dai registi al produttore.

2) Quali sono le principali caratteristiche dell’industria cinematografica italiana?
Possiamo vedere quali sono le principali caratteristiche dell'industria cinematografica italiana grazie al Rapporto 2008 su “Il Mercato e lʼIndustria del Cinema in Italia”, realizzato dalla Fondazione Ente dello Spettacolo in collaborazione con Cinecittà Luce S.p.A , che ha lo scopo primario di fornire un quadro esaustivo ed esauriente sullo stato dell'industria cinematografica italiana. Il rapporto analizza l'industria sia dal punto di vista della domanda (consumio che da quello dell'offerta (produzione). L'industria italiana è costituita da un tessuto di oltre 9.000 imprese, con un volume d’affari di quasi 5 miliardi di euro e un numero di addetti prossimo a 100.000 unità. Il rapporto rivela inoltre la notevole frammentazione del mercato del lavoro, con una disponibilità di soggetti, (soprattutto della componente creativa) ampliamente superiore alla domanda e con un diffuso ricorso a prestazioni occasionali.
Il mercato del cinema italiano è caratterizzato dalla predominanza di grandi holding internazionali del settore e la consistenza elevata di quote occupate dai prodotti stranieri.
La situazione nei tre comparti del settore prevede un calo del numero delle imprese presenti sia nella produzione, che nella distribuzione, mentre stanno aumentando gli esercizi.
Il problema competitivo con le imprese straniere, statunitensi in particolare, è determinato dalla loro integrazione verticale nel settore, il che li porta a raccogliere anche i costi di produzione ed esercizio oltre a quelli di distribuzione.
Il mercato italiano prevede l’individuazione di 3 fasce principali di operatori: a) le major, holding internazionali quali Warner Bros., Universal, 20th Century Fox, Sony, Disney; b) le mini major, composta dai gruppi nazionali Rai-01 Distribution e Medusa-Mediaset, con l’affiancamento di Filmauro, anch’essa intergrata verticalmente; c) indie, società italiane indipendenti di media-piccola dimensione, ma a maggiori intensità e continuità di lavoro.

3)Quali sono le principali spiegazioni a cui si fa ricorso per spiegare il divario che esiste tra il cinema nord- americano e quello europeo. Quali vi sembrano più condivisibili, alla luce di quanto avete studiato?
Nel periodo 1988-1999, l’evoluzione del commercio del settore audiovisivo dell’Unione Europea con gli Stati Uniti evidenzia la continua crescita delle importazioni (da 2,4 a 8,1 miliardi di dollari). Anche le esportazioni europee verso gli Stati Uniti sono cresciute, ma a ritmo più contenuto (da 360 a 850 milioni di dollari).
Ciò significa che il valore complessivo del disavanzo del settore europeo si è quasi quadruplicato.
I contributi che hanno cercato di spiegare il vantaggio competitivo del settore audiovisivo americano rispetto a quello europeo sono ricompresi in 3 filoni:
1)       quello che individua la fonte del vantaggio americano principalmente nel prodotto. Appartengono a questo filone tre diverse teorie: 1a) teoria sulla dimensione del mercato interno, la quale attribuisce il successo dei prodotti americani alla più elevata consistenza delle risorse finanziarie che le imprese statunitensi investono nella produzione di film, rispetto ai concorrenti di altri paesi. Alla base di tale teoria vi è il cosiddetto “effetto del mercato interno”, secondo il quale la produttività marginale degli investimenti aumenta con l’aumentare delle dimensioni del mercato domestico; 1b) teoria sulla dimensione del mercato linguistico, fondata anch’essa sulla relazione esistente tra il livello degli investimenti e la dimensione del mercato, ma a differenza della teoria precedente, considera rilevante la dimensione linguistica. Secondo questa teoria i consumatori preferiscono i prodotti cinematografici realizzati nella propria lingua. I film di lingua straniera, quindi, risentono di una riduzione del proprio valore (“cultural discount”). La grande diffusione internazionale della lingua inglese rende possibili livelli d’investimento superiori capaci di ridurre il “cultural discount” dei prodotti realizzati in quella lingua; 1c) teorie sulla specializzazione funzionale, spiegano il vantaggio competitivo dei prodotti americani in base al maggior grado di divisione del lavoro e di specializzazione funzionale che contraddistinguono il settore cinematografico negli U.S.A.. Una maggiore divisione e specializzazione hanno permesso, da una parte la creazione di imprese in cui l’organizzazione del lavoro si fonda sulla distinzione tra ruoli creativi o artistici, tecnici e manageriali, dall’altra la formazione di figure professionali specializzate, caratterizzate da un livello di competenze superiori.;
2)       quello che individua la fonte del vantaggio americano nelle fasi di distribuzione. Appartengono a questo secondo filone due principali teorie: 2a) teorie dell’accesso al mercato, le quali sostengono che il controllo della fase di distribuzione nei mercati esteri da parte delle imprese americane, determina il successo dei prodotti americani, impedendo invece l’accesso al mercato alle imprese nazionali dei singoli paesi; 2b) teorie del vantaggio della prima mossa, sostengono che il controllo delle reti di distribuzione esercitato dalle imprese americane nei mercati internazionali a partire dagli anni della prima guerra mondiale, attraverso l’impiego di meccanismi collusivi, ha garantito loro di mantenere una posizione dominante (tali teorie sono però criticate alla luce di quanto accaduto nei primi anni di sviluppo del settore, dove le imprese europee erano i più importanti distributori e produttori cinematografici a livello mondiale, eppure, pur detenendo un vantaggio di prima mossa, non hanno conservato la leadership che detenevano);
3)       quello che individua la fonte del vantaggio americano nei fattori esterni al settore cinematografico, a cui appartengono due teorie: 3a) teorie sull’egemonia culturale, sono il risultato di una sovrapposizione di concetti economici, politici e sub-culturali e inseriscono il commercio di prodotti audiovisivi non in un contesto di mercato, bensì all’interno di un paradigma politico ed economico al centro del quale si trovano le imprese americane. Il vantaggio conseguito dai prodotti cinematografici americani sarebbe la conseguenza della supremazia politica americana e avrebbe origine quindi al di fuori delle dinamiche del settore; 3b) teorie sull’esposizione ripetuta, riconducono il successo dell’offerta cinematografica americana alle esternalità positive generate dal consumo di altri prodotti culturali provenienti dagli U.S.A. e, in generale, connesse alla diffusione della cultura americana nel mondo. Alla base di tali teorie vi è dunque un circolo virtuoso di cause ed effetti in cui risulta però difficile risalire all’origine.


4) Spiegate qual è il ruolo degli agenti nella produzione cinematografica.
Gli agenti sono utilizzati nella seconda fase della produzione: in quella comunemente chiamata pre-produzione. Hanno l'obiettivo di fare da tramite tra i produttori e gli attori.
La presenza degli agenti creativi consente ai produttori un più facile accesso al mercato delle risorse artistiche e contribuisce a ridurre i costi di transazione e di informazione per le parti coinvolte nella produzione. Gli agenti svolgono una funzione di allocazione (distribuzione) delle risorse. L’allocazione si realizza attraverso un processo di selezione gestito proprio dagli agenti che è legato da una parte all’eccesso di offerta che caratterizza la produzione di beni creativi (cioè ci sono molti artisti nel mercato della cinematografia e gli agenti li selezionano per le loro qualità e caratteristiche, offrendo in questo modo un vantaggio ai produttori che vogliono realizzare un film ma non sanno chi selezionare per l’assegnazione dei ruoli) e dall’altra al grado elevato di differenziazione orizzontale e verticale sui prodotti (cioè gli agenti raccolgono informazioni molto costose, inerenti al mercato cinematografico, e le trasferiscono da chi ha più bisogno di diffonderle a chi ha più bisogno di riceverle). Gli agenti intervengono dunque per mitigare gli effetti di una situazione di asimmetria informativa, dove in pratica c’è una situazione in cui una o più parti godono di un vantaggio informativo rispetto alle altre. Solitamente chi vende un bene è la parte che possiede informazioni sulle caratteristiche di qualità rispetto ai potenziali acquirenti, mentre i potenziali acquirenti non potrebbero conoscere la qualità del prodotto se non dopo l’acquisto. Nel caso del settore cinematografico la qualità di alcuni input non è nota neppure ai venditori, è il caso degli attori esordienti. Le agenzie creative svolgono quindi una funzione di certificazione e garanzia per questo tipo di input nei confronti delle società di produzione, mentre nel caso di artisti con qualche esperienza, specie se di successo, questa funzione sembra essere meno rilevante. L’artista di successo infatti non ha bisogno di certificare la propria qualità nei confronti dei produttori perché nonostante questa non sia sufficiente a rendere profittevole un film, rimane la migliore scommessa che i finanziatori possono giocare.
Le agenzie dunque non negoziano semplicemente i termini contrattuali della componente creativa con la produzione, ma partecipano attivamente alla realizzazione del progetto (il film). Il ruolo degli agenti è cresciuto nel processo che ha portato alla transizione verso un sistema flessibile, cioè a partire dagli anni Sessanta ad oggi, dove la produzione cinematografica è caratterizzata dalla presenza di sistemi temporanei (le produzioni lavorano sul singolo film e non instaurano più con le star un rapporto contrattuale di lungo periodo).
In assenza di un’organizzazione permanente l’agente ha la responsabilità di costruire la carriera del suo cliente.
In cambio dei servizi forniti l’agente solitamente chiede una percentuale fissa compresa tra il 10% e il 15% su tutti i tipi di compenso che il produttore riceve. Per ciò che concerne il compenso ricevuto dagli artisti (attori, regista, sceneggiatori, ecc.) invece, essi presentano livelli salariali minimi regolati da accordi sindacali, cui vanno aggiunti compensi variabili quali: rimborsi per le spese di trasporto e alloggio, e, laddove previste, royalty sui ricavi provenienti dalla vendita di merchandising, pagamenti addizionali riguardanti la distribuzione del film attraverso mercati secondari (pagamento per i diritti residuali), accrediti sui titoli di testa e/o di coda. I pagamenti odierni, comprendenti sia compensi fissi che variabili, sono diversi da quelli dei tempi dello Studio System, in cui i contratti stipulati includevano esclusivamente componenti fisse. Il fatto che i contratti con componente variabile si siano diffusi ampiamente a partire dalla fine degli anni ’40, è stato messo in relazione ai cambiamenti economici che il settore statunitense ha attraversato, quali: a) la ristrutturazione degli studio e la riduzione della domanda di film nelle sale, che ridusse il volume complessivo dei film prodotti, generando così un eccesso di offerta (troppi attori) e una rivalutazione delle proprietà immobiliari occupate dagli studio; b) la trasformazione del settore, da sistema legato alla figura del produttore centrale a sistema composto da forme di organizzazione più flessibili, che hanno contribuito anche a ridefinire i ruoli creativi e non e il loro grado di specializzazione. L’aggiunta dei compensi variabili si è resa necessaria, non tanto per migliorare le performance artistiche degli addetti ai lavori stimolandoli con un compenso maggiore, quanto piuttosto per consentire ai produttori e ai finanziatori del progetto di ripartire i rischi derivanti dalla realizzazione del prodotto e, non di rado, da un suo potenziale fallimento. Riducendo i costi fissi e aumentando quelli variabili, strettamente interconnessi ai risultati raggiunti dal film, i produttori e i finanziatori riducono i loro rischi d’investimento, riducendo i costi di produzione della pellicola. D’altro canto, poiché le componenti artistiche dovranno sostenere una componente di rischio maggiore, derivante dall’aumento del compenso dei costi variabili, potranno pretendere percentuali di introito maggiori su tale tipo di compensi.
E dunque, nei casi in cui non è possibile integrarsi verticalmente, riducendo in tal modo i rischi attraverso un controllo pressoché totale del mercato, produttori ed attori adotteranno la soluzione dei contratti composti dalla duplice componente compensi fissi e compensi variabili, in quanto è la soluzione migliore per governare un mercato altamente incerto;

5)Il sistema di produzione cinematografica a rete emerse negli anni '50. In cosa consiste questo sistema e quali sono i fattori all'origine del mutamento organizzativo dell'industria?
Si trattava di dover abbandonare il modello fordista, basato sulla presenza di Studios integrati verticalmente, che oltre a comportare notevoli costi fissi, non più sostenibili dal declino dell’industria cinematografica, erano stati anche banditi dalla sentenza Paramount, per puntare su un modello più flessibile. La rigidità delle strutture dello Studio System fu allora abbandonata a favore di un sistema a rete. Il sistema a rete americano andò componendosi in 3 sottospecie:
a) le Majors, che dismisero in misura significativa la veste produttiva, per ridisegnarsi il ruolo centrale di distribuzione e finanziamento delle produzioni indipendenti;
b) i produttori indipendenti, che diventarono gli sviluppatori e i realizzatori dei film, il cui finanziamento e la cui distribuzione sarebbero stati assegnati alle Major;
c) le agenzie di rappresentanza di attori e autori che sostituirono i contratti a lungo termine dello Studio System e assunsero grande importanza nel rapporto di intermediazione tra i finanziatori di un progetto filmico e gli artisti da rappresentare e candidare per l’assegnazione di una parte o di un lavoro.
In sostanza dunque, le Majors si limitavano al ruolo di distributori di prodotti cinematografici, mentre la produzione veniva decentrata verso produttori indipendenti. Solo la Mgm continuò a produrre film ad alto costo con risultati disastrosi.
Complessivamente furono prodotte meno pellicole ma più costose. Erano i cosiddetti spectacular, prodotti filmici fortemente differenziati gli uni dagli altri, al fine di rendere l’esperienza cinematografica unica e fortemente personalizzata.
Si passò così dalla fase del producer unit system, propria degli Studio System in cui il produttore era vincolato a produrre dai 6 agli 8 film l’anno, a quella del package unit system, con accordi per singoli film. In sostanza, la produzione di un film veniva reimpostata come sistema temporaneo, che nasceva dalla realizzazione di un progetto e si scioglieva nel momento in cui veniva raggiunto uno scopo: la produzione e la distribuzione di un film. Tale struttura a rete, è stata mantenuta sino ad oggi. Le attuali Majors (Disney, Paramount, Warner Bros., 20th Century Fox, Mgm, Sony e Universal) difficilmente producono film che distribuiscono, anzi producono direttamente solo i progetti più costosi per un totale del 25% dei film complessivamente realizzati.
In questo modo le grandi imprese del cinema hanno mantenuto la leadership del settore e minimizzato il rischio finanziario. La minimizzazione del rischio viene attuata grazie al controllo del mercato di distribuzione.
All'origine di questo cambiamento vi sono sicuramente due fattori esogeni all'industria cinemtografica: 1) l'avvento della televisione nel 1946 e 2) la sentenza Paramount del 1948. La sentenza Paramount in particolare imponeva di: 1) interrompere l'utilizzo di pratiche commerciali come il block booking ed il blind bidding 2)separare formalmente e sostanzialmente le imprese di produzione e distribuzione da quelle di esercizio.
block booking (cessione in licenza, da parte di un distributore, di un lungometraggio o un gruppo di lungometraggi, dietro la condizione che l’esercente acquisti la licenza per un altro lungometraggio o gruppo di lungometraggi commercializzati dallo stesso distributore in un dato periodo) e il blind bidding (pratica secondo cui gli esercenti presentano offerte in concorrenza l’un con l’altro, in cambio di programmare un film senza averlo prima visionato).

6) Quali sono le principali strategie perseguite dalle imprese cinematografiche per attenuare il rischio?

Le strategie elaborate dall’industria cinematografica al fine di contenere i rischi si possono pertanto suddividere in:

a)       strategie di riduzione del rischio, che tentano di contenere il rischio individuale associato a ogni singolo film. Le imprese di produzione hanno cercato di perseguire questo obiettivo sia mediante il sistema divistico dello star system (basato sulla fedeltà del pubblico nei confronti di un attore per un film realizzato in precedenza), sia attraverso lo sfruttamento di opere letterarie di grande successo commerciale da cui trarre la sceneggiatura del film, sia realizzando sequel di film che hanno ottenuto notevole successo (es. Rambo, Rocky, Guerre Stellari), sia trasformando alcuni costi da fissi in variabili (es. il compenso destinato ad attori e registi), sia attraverso una consistente pubblicizzazione del prodotto attraverso campagne promozionali, sia internazionalizzando il prodotto vendendolo anche ai mercati esteri e sia, infine, commercializzando prodotti collegati (merchandising) al film;
strategie di ripartizione del rischio, che consiste nel ripartire l’alto rischio derivante dalla produzione di un singolo film, tra più produttori. Piccoli e grandi produttori possono così associarsi per realizzare una pellicola, dividendosi spese e futuri guadagni.
7) Quali sono le principali caratteristiche del consumo cinematografico?

1) Quali sono i motivi che spiegano l’intervento statale nell’industria cinematografica italiana?
Un’importante fonte di finanziamento dell’industria cinematografica è rappresentata dal sostegno pubblico. Il principale scopo dell’intervento pubblico italiano in questo settore è sempre stato quello di tutelare e promuovere la cinematografia culturale nazionale, prevedendo forme di sostegno in tutte le fasi cui si suddivide l’attività produttiva considerata. Ma perché lo Stato dovrebbe dare all’attività cinematografica questa tutela?
Gli interventi statali sono consentiti solo in presenza di “fallimenti del mercato”, ossia quando l’operare dei mercati privati non garantisce l’efficienza distributiva o quando si intende tutelare il consumo di alcuni beni, detti “beni meritori”, indipendentemente dalle preferenze individuali o quando, infine, mira a contenere fenomeni di “crisi”, che potrebbero generare eccessiva disoccupazione, tensioni sociali ecc.. Il sostegno pubblico all’industria cinematografica ha trovato nell’ultima motivazione (fenomeno di “crisi”) la logica del suo intervento, anche se la riorganizzazione del settore è stata alle volte sorretta da una presunta eccezione culturale del settore stesso rispetto ad altri.
La cosiddetta “legge cinema” l. n.1213 del 1965, che ordinò il settore cinematografico, afferma all’art. 1 che “lo Stato considera il cinema mezzo di espressione artistica, di formazione culturale di comunicazione sociale e ne riconosce l’importanza economica e industriale” e che “le attività di produzione e di distribuzione e di programmazione di film sono ritenute di rilevante interesse generale”. Dopo quarant’anni, le stesse motivazioni sono alla base della cosiddetta “legge Urbani” l. n. 128 del 2004, la quale all’art.1 riconosce nel cinema un fondamentale mezzo di espressione artistica, di formazione culturale e di comunicazione sociale e che per questi motivi la Repubblica Italiana incoraggia le iniziative volte a valorizzare e a diffondere con qualsiasi mezzo il cinema nazionale, con particolare riguardo ai film d’interesse culturale. Requisito dunque fondamentale per ricevere sussidi statali nella produzione e realizzazione dei lungometraggi (con rimborsi pari al massimo al 90% dei costi sostenuti) e dunque per accedere al “fondo di garanzia” dello Stato sui mutui contratti, è la qualifica d’interesse culturale nazionale. Qualifica accordata dalla Commissione consultiva per il cinema. E’ poi necessario che il film sia di nazionalità italiana, nel senso che debbono essere imprese nazionali a produrre il film. La motivazione che induce il settore pubblico a tutelare l’attività cinematografica deve essere individuata nella sua utilità sociale (l’interesse pubblico). Questa motivazione giustifica il convincimento che una gestione interamente privata non garantirebbe una soddisfacente valenza culturale, perché il produttore privato è orientato a produrre film che garantiscano il maggior profitto possibile e dunque non film culturali. Poiché impopolari, conseguentemente i film culturali rischierebbero di uscire all’offerta di mercato, dato appunto che nessun produttore li realizzerebbe.
Secondo la teoria economica, l’intervento statale sarebbe dunque spiegabile perché riconoscerebbe al prodotto un valore di “bene meritorio”, ossia un bene o un servizio che il soggetto pubblico ritiene di dover tutelare indipendentemente dalle preferenze rivelate dai cittadini attraverso il loro comportamento d’acquisto.
Il soggetto pubblico ritiene pertanto di dover intervenire nel settore per tutelare ciò che le preferenze degli spettatori trascurano per irrazionalità, per mancanza di informazioni (ossia strumenti culturali) e per tutelare dunque valori culturali che altrimenti rischierebbero di andare perduti.
Avendo deciso di tutelare l’attività cinematografica, lo Stato deve stabilire le modalità con le quali fornire i sussidi.
Una prima modalità può essere quella di dividere i costi di produzione tra spettatori (coloro che andranno a visionare il prodotto) e cittadini (coloro che non vedranno il prodotto ma in qualche modo lo finanzieranno), attraverso la fiscalità, cioè il pagamento di imposte. Una seconda può essere quello del prestito, in base al quale lo Stato offre un prestito che l’impresa di produzione si impegna a restituire entro tre anni dalla sua erogazione, altrimenti lo Stato acquisisce la quota dei diritti di utilizzazione e sfruttamento per la parte di finanziamento non ammortizzato. Inoltre se un’impresa di produzione non restituisce per due film consecutivi una somma pari almeno al 30% del finanziamento, non potrà richiedere finanziamenti per  i successivi 3 anni.
Infine la “legge Urbani” distingue un’attività cinematografica sulla base di due parametri: qualità dei film realizzati e stabilità dell’attività dimostrata. Più alti saranno questi parametri maggiori saranno le credenziali per concedere a quell’impresa un prestito.
Con la “legge Urbani” la produzione cinematografica viene, dunque, vista anche come un’attività commerciale che deve essere in grado di far recuperare l’investimento e generare profitto. A parte le opere culturali, il settore pubblico sostiene e finanzia soltanto la cinematografia capace di dimostrare la propria capacità di sviluppare prodotti di gradimento e di successo, anche perché la norma nota come reference system definisce la quota massima di finanziamento assegnabile in relazione alla comprovata capacità artistica degli artisti coinvolti.
Anche i finanziamenti accessori, come i premi di qualità, sono erogati solo se il film viene effettivamente erogato nelle sale cinematografiche.
Tuttavia non mancano le critiche al sostegno pubblico cinematografico. Secondo gli assertori del libero mercato del cinema, la dipendenza dai contributi pubblici comporta sempre scarsa oculatezza e inefficienza gestionale. In questa visione, i costi di produzione dei film aumentano in presenza di contribuzione pubblica perché questa genera comportamenti inefficienti, rendendo più facile l’accoglimento di richieste improprie, come assunzioni non necessarie, retribuzioni eccessive ecc.. Dunque, sostenuti dal finanziamento, le imprese cinematografiche non sarebbero incentivate a contenere i costi perché questi verrebbero comunque coperti dai finanziamenti pubblici, allontanandole (le imprese) dai corretti principi di condotta.
2) In che periodo compare la figura dell’agente nell’industria cinematografica e qual è il suo ruolo?
Fatta sopra
3) Che cosa s’intende con “modello fordista” di cinema?
Fatta sopra
4) La legge della decrescenza del piacere applicata al cinema. Cos’è e come si può contrastare?
La legge della decrescenza del piacere è stata teorizzata per la prima volta da Gossen nel 1854 e stabilisce che a)  la grandezza di uno stesso piacere quando soddisfatto in continuo ed ininterrotto diminuisce fino a sazietà; b) la ripetizione di un piacere precedentemente soddisfatto ne diminuisce la grandezza iniziale e la durata sino alla sazietà, che avverrà tanto prima quanto più sovente ed intervalli più brevi avverrà la ripetizione. Il piacere di un nuovo bene sarà quindi massimo nel momento in cui si riescono a coglierne tutti i dettagli. Nel caso del prodotto cinematografico la ripetizione avviene o a distanza molto ravvicinata dal primo acquisto (per approfondire alcuni elementi) o dopo molto tempo (per riprovare il piacere iniziale). Per contrastare tale legge vi sono due possibilità: a) abbassare il prezzo del prodotto ( negli home video, pay per view), cosa però impossibile nel cinema ed arrivare a questo punto a b) migliorare sensibilmente la versione originaria con effetti speciali. Il prodotto cinematografico è perciò un bene ad utilità ripetuta nei confronti del quale però il pubblico esprimen un'esigenza di sostituzione continua e molto spesso rapida.
5) Cos’è il punto d’equilibrio e il suo uso nel cinema.
Il punto di equilibrio o break even point è quel punto in cui si pareggiano le spese. Nel cinema si usa per vedere quanti biglietti (a costo fisso e standard) bisognerebbe vendere per pareggiare le spese. E' quel punto in cui dopo di esso vi sono guadagni e sotto di essi vi sono perdite Il break even point è usato per individuare il livello di produzione che deve essere raggiunto affinchè i ricavi siano uguali ai costi totali. Sinteticamente l'analisi del punto di pareggio ci permette di riconoscere in quale misura i mercati nazionali sono in grado di ripagare gli investimenti sostenuti dalle imprese europee ed americane nella produzione cinematografica. Si usa per fare anche un confronto strutturale tra USA ed Europa. Tramite un grafico infatti, che prevede sull'asse delle ascisse (la x) i biglietti venduti e sull'asse delle ordinate (la y) i costi affrontati, possiamo vedere come l'impresa statunitense investa un ammontare triplorispetto alle imprese europee. Soprattutto poi possiamo constatare come essa riesca sempre a recuperare i costi ed a generare un guadagno, a differenza di quella europea.
6) Cos’è il costo di transazione in termini economici e a cosa serve nel cinema.
"I costi di transazione sono quei costi, quantificabili o meno, che nascono quando nasce l' "ipotesi" di uno scambio, ed indicano sia lo sforzo dei contraenti per arrivare ad un accordo, sia - una volta che l'accordo sia stato raggiunto - i costi che insorgono per fare rispettare quanto stabilito. Sono costi di transazione: 1) il costo in tempo e denaro per definire un accordo; 2) il costo in tempo e denaro della ricerca dei contraenti per un dato contratto; 3) i costi di ricerca di informazioni riguardanti il mercato ed i suoi agenti. I costi di transazione nascono a causa di tre problemi: 1) razionalità limitata, non è possibile prevedere tutti i possibili casi che si possono presentare ed il loro esito; 2) asimmetria informativa: i contraenti non posseggono le stesse informazioni, 3) opportunismo (azzardo morale): i contraenti sono inclini a perseguire il proprio interesse sopra ogni cosa (anche a danno della controparte)."
7) La domanda di “consumo di film” è influenzata da elementi segnaletici diversi dal prezzo. Quali sono?
In generale è possibile dire che il prodotto cinematografico rispetti più le caratteristiche dei prodotti riproducibili dell’industria culturali che non quelle dei beni artistici, tuttavia  alla pari di questi ultimi (bene artistico) un prodotto cinematografico condivide alcune proprietà, quali:
a) il concetto di spettacolo e la non flessibilità dei prezzi. Il prodotto cinematografico è, cioè strutturato per favorirne un consumo collettivo, dietro il pagamento di un biglietto d’ingresso il cui prezzo non varia in funzione del tipo di spettacolo offerto, ma cambia in funzione del periodo in cui avviene la rappresentazione (matinèe, pomeriggio o sera), del tipo di spettatori (studenti, militari ecc.) o tutt’al più sulla posizione dei posti a sedere (platea, galleria ecc.).
Poiché l’offerta d’ingressi è fissa e la domanda non ha alcun effetto sui prezzi, il successo dello spettacolo si riflette sulla sua permanenza nella sala, ma non sul prezzo del biglietto. Ecco perché si parla di non flessibilità dei prezzi, in quanto, cioè, il prezzo non ha alcuna funzione segnaletica circa la qualità del prodotto nei confronti del consumatore. A tal proposito è opportuno distinguere tra differenziazione verticale e differenziazione orizzontale. La prima (differenziazione verticale) fa riferimento alla qualità che un prodotto lascia percepire di se dai potenziali consumatori. Queste qualità possono legarsi al costo di un biglietto per esempio (più è alto il prezzo del biglietto e più si presume che lo spettacolo sia di qualità). La seconda invece (differenziazione orizzontale) risiede nelle differenze di gusto, cioè in quelle che sono le preferenze di genere, a priori, dei singoli consumatori.
b) rilevanza degli elementi segnaletici. La domanda del prodotto cinematografico è influenzata da elementi segnaletici diversi dai prezzi che sono:
1) riconducibili alla domanda stessa dal comportamento assunto dai consumatori, cioè i consumatori dei prodotti cinematografici generano comportamenti imitativi attraverso contagi informativi (ad esempio attraverso il passaparola si possono influenzare più persone ad assumere un certo tipo di aspettative sul film ed indirizzarle verso la visione in sala dello stesso o meno) e sono influenzati dai benefici sociali legati alla condivisione dell’esperienza di consumo (si consumano prodotti creativi perché questi rappresentano un mezzo di condivisione di esperienze con gli altri). Il processo attraverso cui le informazioni influenzano le decisioni di acquisto dei consumatori può essere spiegato facendo ricorso a due concetti: “code di consumo” (o “effetto traino” secondo il quale la visibilità del consumo di un bene tende ad aumentare la domanda per il bene stesso da parte di altri individui) e “cascate informative” (sequenze di decisioni in cui risulta ottimale per un agente ignorare le proprie preferenze e imitare le scelte degli altri agenti che lo precedono);
2) dalle caratteristiche del prodotto (attori, regista, trama ecc.. La presenza di artisti famosi il cui talento è riconosciuto costituisce un elemento segnaletico in quanto riduce sia il bisogno dei consumatori di reperire informazioni sull’offerta sia il rischio associato ad un consumo incerto) e dalla segnalazione da parte della critica.
c) ripetizione del consumo. Il consumo di un prodotto cinematografico è regolato dalla “legge di decrescenza del piacere” in base alla quale: 1) la grandezza di uno stesso piacere, quando soddisfatto in modo continuo e ininterrotto, decresce fino a sazietà; 2) la ripetizione di un piacere precedentemente soddisfatto ne diminuisce la grandezza iniziale e la sazietà avverrà tanto prima quanto a intervalli più brevi avverrà la ripetizione.
Tale legge trova conferma nel caso del prodotto cinematografico, in cui la ripetizione del consumo avviene o a distanza molto ravvicinata dal primo acquisto, per approfondire alcuni elementi particolari dello spettacolo, o dopo un periodo di tempo piuttosto lungo, per riprodurre il piacere iniziale.
Tuttavia affinché possa esservi un consumo ripetuto sarà necessaria una riduzione del prezzo oppure, laddove la riduzione non sia possibile, un’innovazione del prodotto originario (per esempio le versioni restaurate o arricchite di effetti speciali, in film già visti).


8) Che cosa s’intende per “integrazione verticale”?
il termine integrazione verticale descrive la scelta di un'impresa produttrice o assemblatrice di un certo prodotto, di integrare all'interno della propria attività un maggior numero di "passaggi intermedi" necessari all'ottenimento del prodotto finito. Nel caso del cinema esso è applicabile a quelle grandi imprese Major statunitensi che nel periodo verso l'avvento dello studio system e poi con l'avvento di esso hanno acquistato le sale di riproduzione od esercizio. La filiera cinematografica infatti è costituita da tre step: produzione, distribuzione, esercizio. Le major sentono l'esigenza di integrarsi a valle acquistando le sale di esercizio. In questa maniera hanno un controllo maggiore sul mercato sapendo che tutti i film da loro prodotti sarebbero poi stati effettivamente proiettati e potendo vedere le reazioni degli spettatori. In questa maniera inoltre riuscivano in sostanza a formare un monopolio considerando che ognuna delle 5 major poteva produrre 80 film l'anno ed il mercato veniva saturato a 400. In questa maniera qualunque major avesse prodotto un film di successo avrebbe portato guadagni anche a tutte le altre. Inoltre in questa maniera per le imprese indipendenti era impossibile accedere al mercato. Nel 1948 con la sentenza Paramount veniva proibito alle 5 major di essere integrate verticalmente, dovendo separare le fasi di produzione e distribuzione da quella di esercizio, inoltre venivano dichiarate illegali le pratiche come blind bidding e block booking.
9) Quali sono stai i fattori che hanno provocato la “svolta del 1948”? Quali furono i principali mutamenti?
La svolta del 1948 è stata provocata da due fattori esogeni al cinema come: a) l'avvento della televisione nel 1946 e b) la sentenza Paramount del 1948. Il principale mutamento fu quello di cambiare sistema di produzione. Da un sistema di tipo fordista (forti immobilizzazione, alti costi fissi, integrazione verticale, approfondita specializzazione del lavoro) si passava ad un sistema decentrato flessibile, anche conosciuto come sistema a rete. Sistema che è tuttora il maggiormente utilizzato.
Il sistema a rete americano andò componendosi in 3 sottospecie:
a) le Majors, che dismisero in misura significativa la veste produttiva, per ridisegnarsi il ruolo centrale di distribuzione e finanziamento delle produzioni indipendenti;
b) i produttori indipendenti, che diventarono gli sviluppatori e i realizzatori dei film, il cui finanziamento e la cui distribuzione sarebbero stati assegnati alle Major;
c) le agenzie di rappresentanza di attori e autori che sostituirono i contratti a lungo termine dello Studio System e assunsero grande importanza nel rapporto di intermediazione tra i finanziatori di un progetto filmico e gli artisti da rappresentare e candidare per l’assegnazione di una parte o di un lavoro.
10) Definire il blind bidding e il block booking e la loro rilevanza nel settore cinematografico.
11) Cos’è il sistema decentrato flessibile?
D
al 1949 al presente, cioè dal post “sentenza Paramount” alle sue conseguenze, con la nascita di un sistema decentrato flessibile. Tre anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, l’industria cinematografica americana versava in buone condizioni economiche. Il cinema si confermava il modo preferito dagli americani di spendere il proprio tempo libero e l’industria cinematografica si apprestava ad incrementare i suoi ricavi con le esportazioni di film ai mercati esteri. Due fattori tuttavia determinarono la rottura di questo momento idilliaco per le imprese cinematografiche: a) la sentenza Paramount del 1948 (di cui si è già detto);  b) l’avvento della concorrenza televisiva, a partire dal 1946. L’avvio delle trasmissioni televisive commerciali negli U.S.A., come detto, ebbe vita a partire dal 1946 (in Italia ciò avverrà solo a partire dal 1954, mentre il primo paese europeo a dare inizio alle trasmissioni broadcasting fu la Gran Bretagna, anch’essa nel 1946). Con l’avvento della tv, il consumo di cinema si ridimensionò drasticamente.
Si trattava di dover abbandonare il modello fordista, basato sulla presenza di Studios integrati verticalmente, che oltre a comportare notevoli costi fissi, non più sostenibili dal declino dell’industria cinematografica, erano stati anche banditi dalla sentenza Paramount, per puntare su un modello più flessibile. La rigidità delle strutture dello Studio System fu allora abbandonata a favore di un sistema a rete. Il sistema a rete americano andò componendosi in 3 sottospecie:
a) le Majors, che dismisero in misura significativa la veste produttiva, per ridisegnarsi il ruolo centrale di distribuzione e finanziamento delle produzioni indipendenti;
b) i produttori indipendenti, che diventarono gli sviluppatori e i realizzatori dei film, il cui finanziamento e la cui distribuzione sarebbero stati assegnati alle Major;
c) le agenzie di rappresentanza di attori e autori che sostituirono i contratti a lungo termine dello Studio System e assunsero grande importanza nel rapporto di intermediazione tra i finanziatori di un progetto filmico e gli artisti da rappresentare e candidare per l’assegnazione di una parte o di un lavoro.
12) Quale spiegazione in merito al vantaggio USA sull’Europa ti convince di più?
quello che individua la fonte del vantaggio americano principalmente nel prodotto. 1c) teorie sulla specializzazione funzionale, spiegano il vantaggio competitivo dei prodotti americani in base al maggior grado di divisione del lavoro e di specializzazione funzionale che contraddistinguono il settore cinematografico negli U.S.A.. Una maggiore divisione e specializzazione hanno permesso, da una parte la creazione di imprese in cui l’organizzazione del lavoro si fonda sulla distinzione tra ruoli creativi o artistici, tecnici e manageriali, dall’altra la formazione di figure professionali specializzate, caratterizzate da un livello di competenze superiori.;

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